Milano

"I profughi non sono clandestini": caso Saronno, la Corte d'appello condanna la Lega per discriminazione

Confermata in appello la sentenza sulla vicenda avvenuta a Saronno nel 2016, quando la Lega aveva tappezzato la città di manifesti contro l'arrivo di 32 richiedenti asilo: "Non è libera manifestazione del pensiero"
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Chiamare "clandestini" i profughi è reato di discriminazione e non può essere considerato "libera manifestazione del pensiero politico" perché viola i principi fondamentali della Costituzione. E' quel che si legge nella nuova sentenza di condanna per discriminazione razziale nei confronti della Lega per i manifesti affissi per protestare contro l'arrivo a Saronno di 32 profughi definiti "clandestini". La vicenda risale all'aprile 2016, quando nella città brianzola era previsto l'arrivo di un piccolo gruppo di richiedenti asilo nell'ambito della redistribuzione territoriale decisa dall'allora ministro degli Interni Alfano. La Lega locale insorse tappezzando la città di manifesti gialli con la scritta "Saronno non vuole clandestini". Definizione che per a seconda volta è stata ritenuta "discriminatoria" dal Tribunale civile di Milano al quale si erano rivolte le associazioni Asgi (Studi giuridici sull'Immigrazione) e Naga.

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Condannata in primo grado, la Lega aveva fatto ricorso e ieri è arrivata una nuova condanna con l'obbligo a pagare i danni, le spese processuali e il pagamento della sentenza sul sito della Lega. "Come ritenuto dal giudice di primo grado, la definizione di "clandestini" nei cartelli  affissi dalla Lega Nord a Saronno -ancor più in quanto collegata alla presentazione  dei 32 richiedenti asilo come usurpatori, "per vitto alloggio" e non precisati "vizi", di  risorse economiche ai danni degli abitanti del Comune, i quali sarebbero costretti a subire, stante l'"invasione", l'incremento delle tasse e la riduzione delle pensioni-integra gli estremi della "molestia" - si legge nel dispositivo firmato dal giudice Maria Cristina Canziani - poiché, anche prescindendo dallo "scopo", ha indubbiamente l'"effetto" di violare la  dignità dei predetti cittadini stranieri e di creare intorno a loro, nel contesto territoriale in cui sono inseriti, un clima ostile (in quanto volto a diffondere malevolenza ed a provocare esclusione dalla compagine sociale), umiliante ed offensivo, per motivi di razza, origine etnica e nazionalità". "La sentenza conferma che l'utilizzo di un linguaggio rispettoso dei nostri doveri di protezione e delle persone che la chiedono non è solo un dovere morale, ma anche un obbligo giuridico", dicono gli avvocati Alberto Guariso e Livio Neri.

Il magistrato respinge anche la tesi della Lega secondo cui questi manifesti erano l'espressione di un "libero pensiero politico" poiché, ricorda il giudice "La tutela contro gli atti di discriminazione si fonda essenzialmente sui principi fondamentali della Costituzione in tema di diritti inviolabili della persona, di adempimento dei doveri di solidarietà sociale (art. 2 Cost.), di pari dignità sociale e di eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza e di lingua, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali (art. 3 Cost.). Il divieto di discriminazione è inoltre sancito dall'art. 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali". Quindi, sottolinea l'ordinanza "Anche l'espressione di un'opinione "politica", pur rappresentando estrinsecazione del diritto costituzionalmente garantito alla libera manifestazione del pensiero, deve essere necessariamente bilanciata con il rispetto e la tutela della dignità delle persone alle quali è fatto riferimento, il che nel caso in esame non è avvenuto, risultando sussistente la responsabilità per la ravvisata condotta discriminatoria".