E’ scomparso oggi uno storico attore dialettale romano, Alfiero Alfieri, romano di Roma, classe 1942, che poteva dirsi l’ultimo allievo di Aldo Fabrizi, che già a 15 anni provò il brivido del palcoscenico facendo l’imitatore e lo showman in compagnie tra cui quelle dei Fratelli De Vico e di Cecè Doria, che emigrò in Alabama a fare cabaret tra i militari ma che sentì nostalgia per l’Italia e nel ‘70 si presentò a Checco Durante ottenendo da quel capofila della drammaturgia e dell’attorialità romanesca un’assunzione come suggeritore, promosso presto ad attor giovane, e destinato in poco tempo a metter su una ditta teatrale indipendente, prima con Enzo Liberti e poi da solo, capocomico di se stesso, destinato a consensi popolari al Teatro Rossini e in altre sale della Capitale.
Aspirando a dare un taglio gergale a un classico come “Il malato immaginario”, o a reincarnare con anatomia tosta e robusta “Il Marchese del Grillo”. Chiamato a fare un rubizzo sacerdote nel film “Viaggi di nozze” di Carlo Verdone, che lo volle sul set anche per “Grande, grosso e Verdone”. Diceva di sé <Mio padre Attilio, ispettore della Coca Cola, era impegnato col lavoro e con me che da bambino-artista gli davo già dei pensieri...>. E lui, Alfieri, prima di lasciarci ieri al policlinico Gemelli a 78 anni, ha invece alleggerito i pensieri di generazioni e generazioni di spettatori della nostra città, cultori di commedie semplici, di parole schiette, di personaggi alla mano.