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Bologna, morì cadendo dalle scale in casa di riposo: 5 a processo

Tre anni fa la tragedia di una 93enne in sedia a rotelle. A giudizio operatori socio-sanitari e responsabili della struttura

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Nessuno riuscì a evitare che un’anziana donna di 93 anni cadesse con la sua sedia a rotelle dalle scale della casa di riposo di Pianoro dov’era ospitata. La paziente morì alcuni giorni dopo in ospedale, dove arrivò in condizioni disperate. Ora, a tre anni dai fatti, cinque addetti della struttura, Villa Giulia, sono a processo a vario titolo per omicidio colposo.

È il 24 agosto del 2016, più o meno all’ora nella quale gli ospiti vengono portati a fare colazione. La 93enne, non autosufficiente, è seduta sulla sedia a rotelle, assicurata con la cintura per non cadere. A causa della sua malattia, infatti, ha problemi motori e non è pienamente lucida. La sua stanza è l’ultima del corridoio, appena prima della porta a vetri che dà sulle scale. Quella mattina, la porta della sua stanza è aperta. La donna percorre i pochi metri che la separano dalle scale e cade giù con tutta la carrozzina.

«E’ arrivata all’ospedale Maggiore con un trauma cranico, al momento del ricovero era in condizioni disperate», spiega Patrick Cavazza, l’avvocato della famiglia assieme a Roberto De Simone. Entrambi assistono i due figli della donna, che nel processo si sono costituiti parte civile. Dopo la caduta, l’anziana viene portata all’ospedale Maggiore, dove muore il 7 settembre 2016.

A processo ci sono due operatrici sociosanitarie, difese da Valerio Guazzarini, e i responsabili della struttura, a partire dal presidente del consiglio di amministrazione Filomena Salieri, tutti rappresentati da Maurizio Merlini. La procura contesta a tutti, in sostanza, l’omesso controllo dell’anziana signora: quella mattina non sono state previste, disposte né adottate misure di protezione idonee per evitare l’incidente. Per «imperizia, imprudenza e negligenza», continua il capo d’imputazione, non sono state previste misure che le impedissero di raggiungere la rampa delle scale, distante fra i cinque e i sei metri dalla stanza. La camera, inoltre, era «priva di serratura di sicurezza».

Una parte della linea difensiva punta invece sul fatto che l’accesso alle scale, per motivi di sicurezza, non poteva essere sbarrato. Che le operatrici sociosanitarie non potevano chiudere la signora nella sua camera da letto né garantire una sorveglianza continua 24 ore su 24. Prossima udienza, il 20 marzo 2020.