Palermo

Pozzallo, il record di minori arrivati da soli: "Abel, due anni, picchiato nel lager"

(ansa)
L'orrore nel racconto dei piccoli sbarcati in Sicilia. Sofu: "Mio padre è morto nel deserto"
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POZZALLO - Quando sul molo un volontario si fa avanti per stringergli la manina, il piccolo Abel fa un balzo indietro. Sono scurissimi gli occhi di questo bambino di un anno e mezzo sbarcato ieri a Pozzallo, assieme alla giovane mamma eritrea. Non si fa abbracciare da nessuno, urla mimando delle percosse con la mano. "È stato picchiato in Libia dove siamo stati rinchiusi in un campo per mesi", racconta con un filo di voce la madre, appena ventenne, ai medici dell'organizzazione Medu. I segni della violenza sono visibili sul volto di Abel: ha una lunga ferita sulle labbra e la schiena rigata dalle cicatrici. 

Fa tenerezza, come tanti dei 141 minori sbarcati ieri nel porto ragusano dalle navi Monte Sperone e Protector, dopo giorni di stallo. Uno sbarco record, in cui hanno toccato terra 13 bambini con le mamme e 128 ragazzini soli. Soli come Sefu, 15 anni, volto da bambino e piglio da adulto. "Sono partito con mio padre, ma lui è morto nel deserto, assieme a tante altre persone che erano con noi", ha confidato agli operatori di Save the Children, senza versare una lacrima. Magrolino, silenzioso, dispensa rari sorrisi a chi gli si siede accanto. "Papà è morto di stenti prima di arrivare in Libia, dove mi sono imbarcato con gli altri", racconta Sefu. 

"Sono numerosi i minori che riportano gravi sintomi fisici e psichici, oltre alle ustioni causate dal sole nei giorni di attesa, in mezzo al mare. Donne e bambini hanno trascorso in media da uno a due anni nelle prigioni libiche subendo violenze ripetute, torture, continue privazioni di cibo acqua e cure mediche", racconta Samuele Cavallone dell'equipe di Medici per i diritti umani. Almeno due bambini sono nati in Libia, nessuno ha ancora avuto il coraggio di chiedere se siano frutto di una violenza sessuale. Tra questi c'è un maschietto di due mesi che respira a fatica, stretto tra le mani della mamma di 19 anni. "A colpire di più in questo sbarco sono i corpi scheletrici dei giovani eritrei e somali. Hanno mangiato pochissimo nelle lunghe detenzioni in Libia", racconta Giovanna Di Benedetto di Save the children. 

Nell'hotspot di Pozzallo, poche ore dopo lo sbarco degli oltre 400 migranti soccorsi sabato vicino Linosa, si cerca di recuperare la serenità. E sono proprio i più piccoli che strappano un sorriso ai più grandi, rincorrendosi nel cortile della struttura, giocando con le macchinine donate dal centro. Accarezza tutti "Nicuzzu", piccolo, un bimbo di tre mesi somalo, arrivato con la mamma e un fratellino di 4 anni. Poggia la manina sul capo della madre, sfinita dal viaggio e dal sole, bacia gli operatori che lo abbracciano. "C'è tanta umanità in questo posto. In Libia a questi bimbi viene negato il gioco, noi appena arrivano abbiamo il dovere di restituirgli l'infanzia", dice Emilia Pluchinotta, responsabile dell'hotspot.