Spettacoli

L'ultimo saluto a Mattia Torre: da Sorrentino a Mastandrea folla allo Jovinelli di Roma

Il ricordo dello sceneggiatore e regista scomparso il 22 luglio a 47 anni con gli amici e i colleghi. Sul palco si alternano i ricordi, grande la commozione
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Sullo schermo è Valerio Mastandrea, protagonista di La linea verticale, alter ego di Mattia Torre, a raccontare come dovrà essere il funerale. "Appena ho saputo di essere malato ho subito pensato a come dovesse essere il mio funerale. Niente funerale cattolico, non si capisce mai quello che dice il prete. Solo amici che raccontano qualcosa del defunto. Questo è il mio funerale, voglio tutti dentro, accalcati". Sì, l’addio a Mattia Torre geniale sceneggiatore, autore, scrittore, al teatro Ambra Jovinelli di Roma, è come nella scena che aveva voluto girare. Tante tantissime lacrime, tanto amore, tanti ricordi, tanti amici.

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Il produttore Lorenzo Mieli racconta il suo rapporto con Torre ("Per me Mattia era uno che se lo leggevi, volevi anche produrre i suoi sms; volevi far parte della sua famiglia di amici, volevi essere il suo compagno di scuola"). In questo funerale laico scorrono le immagini, le foto, momenti di vita con Fru, Francesca, la moglie, i figli, gli amici, sempre circondato da amici. In tanti sono venuti a salutarlo, mescolati tra il pubblico, le famiglie, Francesco Pannofino, Serena Dandini, Francesco Piccolo, l’ex direttore generale della Rai Mario Orfeo, Maya Sansa. Sul palco i ricordi di Marco Damilano, direttore dell’Espresso, che con Torre fece il servizio civile e da quell’esperienza nacque Piovono mucche, il direttore de La7 Andrea Salerno, che ricorda l’esperienza di Buttafuori, poi Paolo Calabresi, commosso, che racconta l’amico attraverso gli sms. "L’ultimo, poco tempo fa. ‘Dobbiamo brindare’. Gli rispondo: ‘A cosa?’. Mi ha scritto: ‘Poi ci pensiamo’. Quando era ricoverato gli misero in stanza un signore che veniva dal pronto soccorso, mi scrive: ha una faccia pasoliniana, sarà un assassino. Il giorno dopo era pazzo di lui".

Sorrentino ricorda gli incontri con Torre e Corrado Guzzanti, “la perfezione del pomeriggio in cui trovavamo qualcosa da far fare a Corrado: un nobile, una vecchia signora russa, un portiere di calcio calabrese ma con l’alluce valgo. Bello bello. Poi non se ne faceva niente. La sera a cena si giocava a Dizionario, si sceglieva una parola sconosciuta per poi trovarne il significato. Era l’insensatezza della sera". Nemici della retorica, tutti e due, "ma tre mesi fa Mattia mi ha scritto: ‘Ti voglio bene’ e ho risposto ‘Anch’io’". Giocare per non parlare della malattia, Serena Dandini dice che "Mattia aveva un talento gigantesco, quello di vivere. Mattia sapeva scrivere così bene perché sapeva vivere ancora meglio". Sul palco Vendruscolo, Filippo Ceccarelli, ognuno si porta un ricordo, Geppi Cucciari, protagonista dell’ultimo spettacolo teatrale di Torre, Perfetta, racconta come quattordici anni fa nacque la grande amicizia con Torre e Francesca, la fidanzata che sarebbe diventata la moglie, il punto di riferimento, una donna straordinaria come lui. "Mattia era un trapianto di vita senza paura di rigetto. Io ero lì con un amore appena finito, il loro era un amore appena nato". Torre accoglie, stempera tutto nell’ironia, anche quando parla del laser "che dove colpire il microscopico grumo in testa. Se sbagliano posso scrivere al massimo per Peppa Pig".

Il professor Michele Gallucci, che ha seguito Mattia, scoppia in lacrime. A lui è ispirata la figura del primario Zamaglia,  idealizzato nella Linea verticale: "Mi ha fatto vedere come i pazienti vedono il medico" racconta "ho provato la gioia nel vederlo e il dolore nel non vederlo qui. Io ce l’ho messa tutta" dice tra gli applausi che non finiscono più.

C’è l’agente di Mattia, Moira Mazzantini, che spiega come fosse profondo lo scambio tra loro, poi Valerio Aprea con una disperata passione racconta come Mattia rilanciasse, rilanciasse sempre. "Andiamo a Montecarlo? Siamo vicini. Eravamo a Capalbio. E lui: dai arriviamo a Livorno, a Genova e ci siamo. Il giorno eravamo a Montecarlo". Nessuno sapeva dirgli di no, perché quell’intelligenza speciale, l’ironia in cui mescolava tutto, dolore vita risate, anche quando era un’impresa impossibile ridere, lo rendevano unico. Poi tocca a Valerio Mastandrea parlare dell’alter ego, ed è straziante. Spiega bene cosa significhi sentirsi un sopravvissuto. "Scompare l’arancione al semaforo, ti lavi solo i denti di sopra: devi tornare a scuola".