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E' morto Philip Roth, gigante della letteratura privato del Nobel

 Philip Roth (reuters)
Eterno candidato al Premio, ha scritto alcuni dei capolavori della letteratura del Novecento quali 'Pastorale americana' partendo dalle sue radici culturali e dalla società ebreo-americana
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Nel 2012 aveva annunciato che non avrebbe più scritto. A modo suo, citando la frase del pugile Joe Louis: "I did the best I could with what I had" ("Ho fatto il meglio che potevo con quello che avevo"). Philip Roth era stanco, soffriva da anni di un terribile mal di schiena e sosteneva - lui che era considerato se non il più grande, uno dei più grandi scrittori viventi - di non aver più niente da raccontare. In oltre 30 libri, pubblicati durante la sua lunga carriera, aveva raccontato pregi e difetti dell'America, aveva scandagliato le inquietudini del nostro tempo, smascherato le nostre ipocrisie. Negli ultimi tempi diceva di non leggere più narrativa ma solo saggi. Ad annunciarne la morte è stato il New Yorker, poi il decesso è stato confermato dal suo agente letterario, il temibile Andrew Wylie, conosciuto come "lo sciacallo", che di Roth aveva fatto il marchio della sua squadra vincente. 

Roth è morto, "per insufficienza cardiaca", all'età di 85 anni senza aver vinto il premio Nobel per la letteratura. Era nella lista dei candidati da anni ma all'Accademia svedese non piaceva: troppo scorretto, troppo irriverente per essere incoronato. Consola il fatto che non sarebbe stato l'anno di Roth neanche questo, visto che il Nobel è stato travolto dagli scandali e che il premio per la letteratura è stato cancellato e rimandato al 2019.
Philip Roth nasce a Newark, nel New Jersey, nel 1933. Viveva tra l'Upper West Side di New York e una casa nella campagna del Connecticut. I genitori appartengono alla piccola borghesia ebraica della città, ed è lì in quella piccola comunità di provincia che lo scrittore inizia ad osservare la sua gente e costruire - seppure ancora solo idealmente - le sue prima storie e i suoi primi personaggi. Raccoglie storie, osserva, cataloga tic che poi ingrandirà e trasformerà nel grande ritratto dell'America (i suoi romanzi in Italia sono pubblicati da Einaudi e sono stati poi raccolti in un volume Meridiani Mondadori, curato da Elena Mortara. Altri due Meridiani, curati da Paolo Simonetti, sono attesi per ottobre e per la primavera 2019). 

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Il primo libro è Goodbye, Columbus del 1959. C'è già tutto, il sesso, la religione, la famiglia. Roth scrisse poi, ricordando quel tempo: "Con semplicità e inesperienza, e con parecchio entusiasmo lo scrittore in embrione che ero scrisse queste storie intorno ai suoi vent'anni, mentre si laureava all'università di Chicago, faceva il soldato nel New Jersey e a Washington e, dopo aver lasciato l'esercito, tornava a Chicago a insegnare inglese". Aveva in realtà 26 anni e sapeva di aver avuto accesso ai riti e ai tabù del suo clan, la tribù degli ebrei americani di cui faceva parte. 
(reuters)
Dieci anni dopo con Il lamento di Portnoy, Roth scandalizzerà tutti: "Il mondo della visione manichea che vige in casa Portnoy, si divide tra ebrei e goyim (non ebrei). Questi ultimi va da sé incarnano agli occhi dei genitori l'antimodello per eccellenza...". Il libro narra la storia di un ragazzo ebreo, Alexander Portnoy, che confessa allo psicoanalista i suoi turbamenti. Lo psicoanalista rimane muto per tutto il tempo. La dissacrazione è compiuta. 
Altri dieci anni e debutta sulle pagine di Roth il suo alter ego: nel 1979 compare ne Lo scrittore fantasma il personaggio di Nathan Zuckerman, un  giovane romanziere di belle speranze che lo accompagnerà per anni. Il romanzo diventerà il tassello di una serie di prove narrative, tra cui La macchia umana e Zuckerman scatenato.

Il capolavoro che consacra Roth nell'Olimpo della letteratura mondiale, Pastorale americana, è del 1997 e gli vale il premio Pulitzer. E' un romanzo in cui passa la storia dell'America, con personaggi indimenticabili: da quello dello Svedese, Seymour Levov, alto, biondo, atletico, il prototipo dell'americano vincente, a quello della figlia Merry, la contestatrice che "decide di portare la guerra in casa". Ne sarà tatto un film, American Pastoral, diretto da Ewan McGregor, con David Strathairn nei panni di Zuckerman.

Seguiranno Ho sposato un comunista e La macchia umana, dove Roth sferra un attacco al politicamente corretto americano che gli crea intorno più di un malumore. Protagonista il professor Coleman Silk al quale un giorno basta una frase sfuggitagli per sbaglio per essere crocifisso sull'altare della political correctness: aveva usato il termine "spettro" reputato "offensivo applicato ogni tanto ai neri". 
Nel 2010 arriva Nemesi, ultima tappa di una sterminata produzione narrativa. Ambientato nell'estate del 1944 in una Newark contagiata da una spaventosa epidemia di polio. La domanda che ricorre è la stessa di tanti romanzi di Roth, da Everyman a Indignazione a L'umiliazione: quali sono le scelte che imprimono una svolta fatale a un'esistenza? 

Gli ultimi tempi da scrittore erano stati durissimi. Roth aveva raccontato di scrivere in piedi, usando un leggio, a causa dei terribili dolori alla schiena. Nel 2012 aveva annunciato al magazine Les Inrockuptibles di smettere di scrivere.