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Politica

Il grande baro

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Come può un ministro della Repubblica dire “è una nave olandese, se li prenda l’Olanda”, e il giorno dopo sostenere di fatto “è una nave italiana, se li prenda Malta”? Come può cantare vittoria perché nemmeno una delle persone raccolte dalla Mediterranea metterà piede nel Belpaese (salvo i 13 sbarcati perché vulnerabili) quando l’accordo con La Valletta è una partita di giro che ne porterà altrettanti dal suolo maltese a quello italiano? Come può sostenere che gli sbarchi “sono diminuiti del 97%” e allo stesso tempo additare le Ong come nemiche del popolo italiano quando le barche delle organizzazioni non governative sono latrici di una percentuale residuale di quel pur scarno 3% di carico umano che per la maggior parte viene raccolto dalle imbarcazioni della Marina, della Guardia costiera, o arriva con barchini fantasma? E come può additare all’emergenza nazionale a fronte di quegli stessi numeri che attestano, bontà sua, che di emergenza non si tratta? E come può seraficamente andare sul confine orientale del nostro paese, sollevare la necessità di “un muro” di trumpiana memoria a difesa dei patri confini quando men che meno in quelle terre siamo in presenza di un’emergenza umana, sociale e sanitaria? “Venti, trenta gli ingressi irregolari riscontrati nella settimana”, ha detto Salvini riferendosi al Friuli, tre o quattro al giorno, forse un migliaio l’anno: una tale marea da giustificare una barriera fisica per fermare l’orda?

La risposta a queste poche domande è semplice: può, perché la bolla comunicativa sapientemente creata dal leader leghista convoglia paure e tensioni di un paese nel quale, secondo l’Istituto Cattaneo, il 73% della popolazione sovrastima la presenza di immigrati nel nostro paese, creando la comfort zone di una narrazione che vede assedianti respinti valorosamente dagli assediati per tutelare l’incolumità della res pubblica.

Il principale corollario alla risposta è: perché conviene. Il dossier immigrazione è la più classica delle win-win situation. Se lo sbarco viene impedito, si grida al successo, al “io non mollo”, al “se voi ci siete, io ci sono”, al “ho io la testa più dura della loro”. Se lo sbarco viene consentito non è mai “a carico del contribuente”, o “previo accordo di redistribuzione con altri paesi europei”. Le persone entrano, tante si disperdono, e finiscono di essere un problema da palcoscenico pubblico, perché non più funzionali alla grande storia. Infine se lo sbarco viene consentito e i migranti entrano nel sistema d’accoglienza nostrano, c’è un grande complotto da additare, un magistrato complice a liberare una capitana pirata, un nemico più grande che ci abbandona nonostante il nostro indomito valore. Alimentando un sentimento di rivalsa e una voglia di ribaltare il tavolo che rende il prossimo giro di giostra ancora più solido nella grande strategia del nemico alle porte.

L’Europa è immune da critiche? Assolutamente no. Veti e contro veti bloccano da anni una riforma seria dei trattati di Dublino, che alla prova dei fatti si sono dimostrati quanto di meno comunitario ci possa essere in una comunità, scaricando sui paesi rivieraschi la responsabilità del problema. Come, se non si vuole essere manichei, non si può essere ciechi di fronte all’evidente vantaggio in termini di notorietà di quella che è diventata una battaglia politica di molte delle Ong che operano nel Mediterraneo, il cui peso sull’agenda pubblica è almeno pari alla natura pura della missione che si prefiggono, quella di salvare vite umane.

La controparte di governo, quella del Movimento 5 stelle, va un po’ a rimorchio, un po’ sbanda, un po’ rischia frontali. Appena ieri Giuseppe Conte insieme a Vladimir Putin ha posto l’accento sull’escalation cui si sta assistendo in Libia, ai bombardamenti sui campi profughi, alla delicatezza della situazione. Oggi Luigi Di Maio, come nulla fosse, accusa Mediterranea di strumentalizzare l’accoglimento a bordo di persone che “potrebbero essere salvate dalla marina libica”, improvvisamente non più lo sgangherato corpo di dubbia affidabilità di uno stato sull’orlo della guerra civile.

Ma è proprio il capo politico del Movimento 5 stelle a dire quel che è nascosto solo agli occhi di chi non vuol guardare: “Dobbiamo anche dire che nell’ultimo mese sono sbarcate 300 persone, qui stiamo parlando di 55 persone su una barca”.

D’altronde la soluzione sarebbe semplice. Salvini ha battuto mani e piedi per ottenere l’approvazione del Decreto sicurezza bis (ampiamente criticato su queste pagine), che gli conferisce tre potenti strumenti: una multa salata per chi supera le acque territoriali dopo aver ricevuto l’alt, procedimenti giudiziari per il comandante, il sequestro dell’imbarcazione. Basterebbe che le autorità italiane, intimato il divieto, lasciassero entrare le imbarcazioni nelle acque territoriali e procedessero a norma di legge dopo aver concesso lo sbarco in un porto sicuro. E per le Ong farsi carico di un rischio calcolato nel momento del via libera. Ma cadrebbe il castello di carta di strali, editti e titoli di giornale che in loop alimenta rumore di fondo e consensi, sulla pelle di cinquanta malcapitati di turno, mentre altri 300 (Di Maio dixit) toccano la terraferma nel silenzio generale, poco più di comparse nel grande romanzo del nemico alle porte.

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