Milano

Il day after di Milano: la nevicata del 1985 che paralizzò la città

Foto dalla pagina Fb 'Milano sparita e da ricordare' 
Nel gennaio di 34 anni fa Milano come gran parte dell'Italia settentrionale fu sepolta dalla neve. Sulle pagine di Repubblica Giorgio Bocca raccontò come la capitale economica dell'Italia si ritrovò smarrita di fronte a quell'evento
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Il 24 gennaio del 1985 su Repubblica viene pubblicato un reportage di Giorgio Bocca da Milano che, da giorni, è sotto la neve: precipitazioni eccezionali, tanto che ancora oggi quell'evento è conosciuto come la 'Nevicata del secolo'. Un racconto che oggi vi riproponiamo.

MILANO - Qui raccontiamo la guerra del gelo e della neve nella grande città di Milano, ricca e fragile, civile e vulnerabile, progredita, ma anche indebolita dalla sua crescita economica e civile, dai seicentomila che ogni mattino vi arrivano dall'hinterland per lavori e faccende in gran parte sconosciuti, dal grande terziario delle banche che ha congelato il suo cuore, dai veleni industriali che la rodono sotto gli asfalti che coprono i navigli. La grande, ricca Milano dove i tecnocrati vanno scoprendo che ecologia ed efficienza stan diventando la stessa cosa, che là dove non c'è alta qualità della vita non c'è neppure libertà di muoversi, di fare, di produrre. La guerra del gelo e della neve! Trenta anni fa il comune aveva novemila spalatori in una città che era il terzo dell'attuale. E sapevano spalare, erano in gran parte contadini inurbati, riempivano di neve le "tomarelle" di legno e poi le scaricavano nei pozzetti. Adesso sui 1400 chilometri delle strade cittadine sostano in permanenza 450.000 automobili, la metà dei 103.000 pozzetti è inusabile o inusata, se nevica, perché la metà delle case non ha più portinaio, pale, riserve di sale o di ghiaia, perché un milanese con la pala in mano oggi fa ridere, sembra che il manico sia insaponato, non la sa tenere, non la sa piantare premendola con il piede; perché il "fallo da te" è ormai sconosciuto e nessuno sa che esiste un regolamento comunale che all' articolo 27 ordina al padrone di casa di far spalare il marciapiedi per due metri di larghezza e tener puliti i pozzetti. "Capisco i privati" dice l'assessore Polotti che dirige la protezione civile "ma le grandi banche, i grandi alberghi. Non hanno mosso un dito, neppure la Commerciale, neppure la Popolare, non hanno fatto spalare un metro". Proprio così, la guerra del gelo e della neve ha dimostrato che anche Milano è ormai arrivata a una concezione irresponsabile della vita urbana. Qualsiasi cosa capiti il cittadino pensa che ci sarà qualcuno, non lui, a provvedere, Stato, municipio, il buon Dio, insomma qualcun altro. E se si accorge, come in questi giorni, che il qualcun altro non c'è o non ce la fa sono alti lai e stupore grandissimo. Qualcuno che ci pensa e che provvede c'è stato per un'altra grande rivelazione: che il comune non è un monolito, un unicum, ma un complesso di aziende, alcune funzionanti alla perfezione, altre arretrate. Uno che ci ha pensato è l'ingegner Scacchi dell'azienda elettrica municipale che ora è anche azienda del gas e del riscaldamento. Negli uffici alti di Corso di Porta Vittoria la guerra del gelo è cominciata sei giorni prima di quella della neve, anzi è dal primo dell'anno che si è in allarme perché a Milano sta accadendo qualcosa che non accade da trentatrè anni, il meno dieci di temperatura continuo. Nell'azienda sanno che nel gas "manifatturato", come lo chiamano, c'è una miscela di metano idrogeno e vapore acqueo. Due o tre giorni di gelo non hanno effetto sulle tubature che sono esterne per ragioni di sicurezza, ma in un gelo che dura dieci o quindici giorni i granuli di ghiaccio finiscono per fare corpo specie nelle giunture fino a formare un tampone. "La nostra intuizione" dice Scacchi "non è stata la previsione dell' emergenza, ma la previsione di una emergenza ingovernabile". Sembra un paradosso ma vuol dire semplicemente programmazione dell' eccezionale.

L'azienda è normalmente attrezzata per 500 interventi quotidiani e può in caso di emergenza arrivare a 1000. L'idea vincente è stata di prepararsi ad affrontare i 2000 o 2500 che sono arrivati dopo il 10 gennaio. Come? Come in guerra, come sul Piave: richiamo in servizio dei pensionati, sospensione di tutte le ferie, l'intero stato maggiore che sistema le sue brande negli uffici per funzionare ventiquattro ore su ventiquattro e anche un'arma nuova per sgelare i tubi. A uno dei tecnici si è accesa la lampadina in testa, come dicono: perché non usiamo dei saldatori modificati in modo da produrre un alto grado di calore in breve tempo? Si trova la fabbrica per le modifiche, in un giorno sono pronti ottanta saldatori modificati. Un'azienda moderna deve saper usare l' informazione, l'Aeti organizza una sorta di "cuore amico", gli utenti rimasti al freddo vengono informati, rincuorati, se si tratta di anziani o di ammalati gli portano stufette e fornelletti elettrici. La linea del Piave tiene, la guerra del gas è vinta. La Caporetto invece tocca all'azienda della nettezza urbana, all' Amnu, ma anche qui non esageriamo, le colpe sono collettive, generali, di una cultura urbana lacunosa, arretrata o, se preferite, in fieri, da grandi città che stanno scoprendo la loro fragilità. Perché la verità nuda e cruda è questa: Milano non ha i mezzi per spazzare la neve, nessun municipio di nessuna grande città del mondo ha i mezzi per spazzare la neve quando supera i quaranta, cinquanta centimetri. "Al terzo giorno della nevicata" mi dice il sindaco Tognoli, "ho telefonato al borgomastro di Francoforte, la nostra gemella: voi cosa fareste con settanta centimetri di neve? Mi ha risposto: non so dirglielo". A farla breve: se ne cadono venti o trenta centimetri, la circolazione dei mezzi pubblici può continuare trattandosi di città di pianura e poi ci pensano la pioggia e il caldo della città a far sciogliere la "bianca visitatrice". Se ne cadono più di quaranta, il freddo non molla e la neve è secca, rimane fino a primavera. Per trentotto anni Milano ha corso questo rischio sempre vincente, questa volta invece è andata in tilt. I conti sono presto fatti: l'azienda della nettezza urbana può, in una notte, liberare dieci itinerari. Dico in una notte perché la neve di giorno non la spali a meno che non blocchi la circolazione; mobilitando tutte le aziende private disponibili si arriva a trenta itinerari che sarebbero ciascuno una via lunga un chilometro. "Non sono un matematico" ho detto all'assessore Polotti che si occupa della protezione civile "ma trenta chilometri per notte in una rete di 1400 chilometri fanno un mese e mezzo". Polotti ha sorriso tacendo. E che avrebbe dovuto dire? Che in un secolo non c'è stata una nevicata così? Che bisogna tornare al '47 per trovarne una di sessanta centimetri? Che mai ha nevicato senza soste per tre giorni? Che per tenere in piedi un apparato a misura di questa nevicata bisognerebbe spendere centinaia di miliardi? Già, il comune di Milano non è un monolito perfetto: è un complesso di aziende: quelle che affrontano il mercato e la concorrenza come l' Azienda elettrica sono tecnologicamente, culturalmente avanzate, altre come quella della nettezza urbana lente e routiniere.

Milano ha risolto molti problemi: una spesa di 300 miliardi le ha dato le fognature più moderne e pulite di Europa, senza un topo, capaci di far passare in un giorno 14 milioni di metri cubi d'acqua, il doppio di quanta ne sia scesa con la nevicata; l'acquedotto con le tre nuove centrali fornisce acqua pura e abbondante e resiste a un gelo di meno quindici; l'Olona e il Seveso sono governati e purificati; la metropolitana ha funzionato assorbendo quasi quattrocentomila viaggiatori in più durante la nevicata; delle 750 scuole solo 6 sono state chiuse, ma contro la grande nevicata la città è impotente. La colpa dell'amministrazione e in senso più lato della cultura urbana milanese non è quella di essere impotente di fronte alla supernevicata, ma di non aver posto il problema in pubblico, di non aver stabilito un nuovo rapporto con i cittadini, di non aver detto chiaro e tondo al milione e mezzo di milanesi: guardate che se la neve non ve la spalate voi, nessuno può spalarla. Guardate che nelle grandi città nordamericane dove ci sono tempeste di neve, ogni cittadino ha le istruzioni per fare la sua parte di lavoro, tutti sanno che appena incomincia a nevicare alcune grandi strade vengono bloccate. "Perché non ci avete pensato?", chiedo al sindaco. "Perché lei non ha fatto dei pubblici interventi per spiegare che il rapporto fra comune e cittadini nella metropoli moderna deve cambiare radicalmente? Che i problemi di una metropoli non sono affrontabili senza il concorso e la disciplina di tutti coloro che ci abitano?". "Perché queste cose" risponde il sindaco "si imparano solo con l'esperienza. Vede, nel primo dopoguerra la città era più attrezzata per l'emergenza non solo perché i problemi erano meno grandi, ma perché gli amministratori erano passati per la guerra, per i bombardamenti, per il razionamento. Quaranta anni di pace e di routine ci hanno addormentato. Solo ora ci accorgiamo che è di nuovo guerra, che la grande città può paralizzarsi di colpo, basta il traffico di Natale a farla impazzire. In questi giorni si è drammatizzato in modo eccessivo. Dopotutto la neve è neve, i danni alle case sono modesti, non più di centocinquanta interventi, quasi tutti per caduta di cornicioni. Ma altre crisi ben più gravi possono venire da una nube tossica e magari da una pioggia violentissima. Ci vogliono istruzioni e disciplina. Gli inviti servono a niente. Io dovrei avere l' autorità e la credibilità per bloccare il traffico privato. Ci arriveremo ma per ora siamo impreparati, amministrazione e cittadini".

Già, informazione e disciplina. L'informazione è stata mediocre, a tutti i livelli, compreso il nostro di informatori di professione. Il peggio lo hanno fatto le Ferrovie dello stato. Il lunedì 14 i ferrovieri riescono a fare andare due treni da Torino a Venezia che fermano a Lambrate per evitare il blocco della Centrale, ma il servizio movimento non informa i viaggiatori che stanno da dieci ore in attesa alla Centrale; così, quando vengono a sapere che i treni sono partiti da Lambrate quasi assaltano l'ufficio informazioni che per tutta l'emergenza non saprà quali e quanti treni sono stati soppressi e dovrà dire degli altri che viaggiano "con ritardo imprecisato" che può voler dire tre ore come tre minuti. E' mediocre anche l'informazione dei mass media, giornali, televisione e radio: da anni la razza dei cronisti, dei reporter che girano la città si è spenta o è in via di estinzione. Tutti lavorano con il telefono ma quando gli uffici competenti si bloccano l'informazione cessa. Al suo posto si mettono le polemiche e l'allarmismo. I lettori stenteranno a crederlo, ma la polemica fra Milano e Roma ha avuto una parte non piccola nella paralisi milanese del traffico. Per esempio all'azienda trasporti è stata proprio una spinta dal basso creata da quella polemica a peggiorare le cose. Al secondo giorno si sarebbe dovuto rinunciare al trasporto totale e puntare su quello essenziale, ma dalla base arrivava la richiesta campanilistica: "Ce la facciamo. Siamo a Milano, non siamo mica a Roma". Tutti infiammati di orgoglio meneghino, operai, autisti, sindacalisti. E siccome gli autisti sono in gran parte meridionali e gli operai in gran parte lombardi, siccome i primi hanno il superpatriottismo ambrosiano degli ultimi arrivati per sacra emulazione sono andati al massacro. Insomma è capitato che per due giorni non hanno nè dormito nè mangiato e al terzo sono crollati. Il collasso al terzo giorno è stato di tutta la città: la gente stupefatta, impaurita ha visto per la prima volta la sua grande città, la città del suo mito e del suo orgoglio, come vinta, come spossata. Si era fermato il traffico, mancava quel ronzio da centrale elettrica che i milanesi si portano nel sangue, si vedevano strade deserte, distributori di benzina "chiusi per mancanza di carburante", i vigili spariti dagli incroci dovendo tener dietro alle mille emergenze. Era il "the day after" di Milano.

E allora è arrivato un po' di panico. Non il grande panico perché la neve per fortuna ha smesso di scendere, ma quanto ne è bastato per abbandonare centinaia di automobili sulle rotaie dei tram, cioè degli unici mezzi in grado di funzionare anche con la neve; e si è dato l'assalto ai supermercati per far riserva di surgelati con i giornali e la televisione allarmisti che parlavano di verdura introvabile, di insalata a ventimila lire al chilo, sciocchezze, esagerazioni. E polemiche inutili, disinformate, come quelle sulle catene. Ne parlo con il presidente dell' Atm, Giacomo Properzi, e con il direttore generale Liberatore. "Questa storia delle catene!" dicono. "Ma non le usa nessuno nelle grandi città europee in pianura. Per mettere le catene a un autobus senza rovinare le gomme bisogna farlo in buca, in officina. Di autobus ne abbiamo ottocento per il servizio urbano, quattrocento per quello extraurbano; per mettere le catene a tutti si impiegano due giorni. Nessuno in Europa ha catene in magazzino, solo gli svedesi a dicembre mettono le ruote chiodate ma perché a Stoccolma la neve pressata dura per quattro mesi. Anche noi abbiamo gomme da neve, ma per i venti, trenta centimetri. Abbiamo commesso un errore, questo è vero. Dovevamo bloccare il secondo giorno almeno il sessanta per cento delle linee, ma non ne abbiamo avuto il coraggio civico. Vede al mattino del lunedì ce l'avevamo ancora fatta a portare i milanesi al lavoro e non abbiamo avuto l' animo, la sera, quando la neve era già sui quaranta centimetri, di non riportarli a casa. E lì si son bloccate le linee, il calibro delle vie si era ristretto, gli autobus non passavano. Anche oggi la situazione è difficile. Ce ne accorgiamo dalla litigiosità, arrivano di continuo telefonate che ci informano di risse, autisti venuti alle mani con automobilisti che bloccano una strada, viaggiatori inferociti". Sì, non è uno scherzo fare 1.600.000 viaggi al giorno quando le strade diventano come quella del Davai, da ritirata di Russia. Per fortuna che dei 600.000 che entrano ogni giorno in città la metà ha rinunciato e che la Metropolitana ne ha assorbiti almeno quattrocentomila. Certo è che nelle notti milanesi si è assistito a scene incredibili: carri armati Leopard forniti di lama che avanzano lentamente per spalare, ma quello non è un cumulo di neve, è una automobile, bisogna chiamare l' autogru per sollevarla e spostarla.

La città è fragile e la gente si è abituata al comodo. Stare al freddo nei giorni di guerra era la norma, adesso è un dramma. Nessuno vuol più lavorare di notte, le "conquiste sindacali" hanno reso impossibili certi lavori di emergenza come spalare la neve dai tetti. Secondo i regolamenti anti-infortunio si potrebbe farlo solo innalzando dei ponteggi, giorni di lavoro e spese folli. Così migliaia di case, quelle con i tetti di coppi dovranno esser rimesse in ordine. Danni grossi non ce ne sono stati, salvo il crollo del Palasport progettato dal Coni per resistere a 100 chilogrammi di neve al metro quadro, mentre il peso anche per la forma concava del tetto è stato di 300 chilogrammi. Le tettoie del Vigorelli avevano cinquanta anni, prima o poi dovevano andar giù, i capannoni industriali crollati sono meno di venti. No i danni verranno fuori a primavera, quando sgelerà il terreno che oggi, a sessanta centimetri di profondità è ancora a meno 10. Allora intere strade dovranno essere rifatte per decine di miliardi. Si è parlato di crollo di un mito, di dèbacle amministrativa. Ma no, nel complesso l' apparato delle aziende municipali ha funzionato egregiamente, solo che nella metropoli supermotorizzata, basta un intoppo, una disfunzione per mettere tutto in crisi. Il sindaco Tognoli mi mostra certe lettere che gli sono arrivate: "Sei un porco, fai meno interviste e spazza la neve". "Cercherò di rispondere e di spiegare che la neve o la spazziamo tutti o resta lì".