Cronaca

Ventimiglia, minacce e insulti alla barista che serve i migranti: "Ma io non mollo"

Titolare di un locale nella cittadina ligure, aiuta gli stranieri di passaggio verso la Francia: "Entravano adulti e bambini con le infradito d'inverno e la pancia vuota da giorni. Come potevo voltare la faccia?". Da allora ha ricevuto anche sputi ma non desiste anche se gli affari vanno sempre peggio

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A Ventimiglia, in via Hanbury, l'ultimo presidio di umanità in questa zona di confine ha l'insegna bianca e ordinaria di un locale che si presenta come tanti altri. Ma al bar Hobbit, dedicato al romanzo dello scrittore che sentenziò "Non tutti quelli che vagano si sono persi", i migranti che provano a lasciare l'Italia, almeno per qualche giorno, non si perdono davvero. A prendersi cura di loro c'è Delia Buonuomo, quasi sessanta anni, proprietaria del bar da oltre quindici, che provvede a loro come può. E che, visto il boicottaggio degli abitanti del posto, lotta contro la chiusura.

Da anni Delia prepara un piatto caldo per chi non mangia da giorni, mette a disposizione la corrente del negozio per ricaricare i telefoni e permettere ai migranti di parlare con le proprie famiglie, offre caramelle e patatine ai migranti più piccoli. E poco importa se la popolazione di Ventimiglia ha disertato il bar, se per strada la minacciano o le sputano addosso, se di notte hanno provato a bloccare le porte del locale per boicottare l'attività. Questa instancabile signora con il grembiule addosso non ha girato le spalle "a chi chiede un piatto di pasta o a chi crepa di freddo. Umanamente non è possibile, come mamma, come nonna - ricorda - e perché, prima di tutto, il bar è un pubblico esercizio, dove ha diritto ad entrare chiunque".

Qui i panini con il tonno al pomodoro hanno sostituito da tempo quelli con il prosciutto, non si servono più cocktail e alcolici ma pacchi di biscotti a un euro, perché "costano quanto un espresso ma riempiono meglio la pancia", e si distribuiscono giochi e pannolini.

La sua battaglia di civiltà inizia tre anni fa, quando la piccola comunità di Ventimiglia rimane coinvolta nei flussi di transitanti che dall'Italia cercano di raggiungere il resto dell'Europa: "Certo che mille persone al giorno creavano scompiglio, sono persone con esigenze fisiche, quello che i cittadini non capivano è che la colpa non è loro, ma di come l'emergenza viene gestita. Se chiudono le fontane per non permettergli di lavarsi, se i bagni pubblici sono a pagamento, se i bidoni della spazzatura sono pochi, e non bastano già per noi abitanti, il disagio è dietro l'angolo".

Aperto quindici anni fa, il bar Hobbit offriva caffè e brioche agli abitanti della zona che lavoravano e ruotavano attorno alla stazione. Poi, più di tre anni fa, il piccolo centro cittadino diventa zona di passaggio per oltre mille persone al giorno: Delia non chiude le porte e diventa presto un punto di riferimento per tutti i transitanti.
"Entravano adulti e bambini con le infradito d'inverno e la pancia vuota da giorni" ricorda la proprietaria.

Da quel momento alla parlata ventimigliese si accavalla quella tigrina, araba, inglese. Le mattine non si passano più davanti a un cappuccino a leggere il giornale locale, ma a compilare documenti, bonifici alla posta per rinnovare il permesso di soggiorno, a ricaricare i telefoni per avvisare le famiglie e a imparare le prime parole in italiano.

"L'assistenza che viene data dalla Caritas noi qui la diamo privatamente. Ventimiglia si è spaccata tra chi vuole aiutare i migranti e chi come Salvini vorrebbe affogarli", racconta Delia. "Da quando abbiamo aperto le porte ai migranti gli abitanti di Ventimiglia nel mio bar non ci hanno messo più piede. Ho ricevuto minacce, mi hanno sputato addosso, di notte hanno bloccato le porte del bar. Ho dovuto installare le telecamere di sorveglianza per non essere più disturbata. Ma una delle due porte ancora non funziona, i pezzi di ricambio costavano troppo".

E con la fine dell'estate la situazione del bar si fa ancora più precaria: molti dei giovani attivisti di associazioni come Penelope e 20k, che sostengono le attività del locale consumando quello che i cittadini di Ventimiglia si rifiutano ormai di ordinare, sono universitari e con l'arrivo dell'autunno sono costretti ad allontanarsi dalla città. Per Delia il bar non può chiudere, ma andare avanti economicamente è sempre più difficile e il prezzo emotivo è alto.

"Ho visto uomini e donne piangere perché hanno perso la moglie o il marito in mare. Ieri una donna nigeriana è entrata con una bambina piccola, non mangiavano da due giorni. Tutto questo dolore lo subisci indirettamente, all'epoca non ero preparata, ora mi sento provata e stanca" confessa. "Ma quando i ricordi brutti sono tanti, e quelli belli pochi, basta ricevere una chiamata da chi ce l'ha fatta ad arrivare a destinazione e a ricongiungersi con la propria famiglia, e vuole ringraziarti per l'ospitalità, che tutta la stanchezza sparisce".
E quando la commozione diventa tanta e il tempo poco, la signora Delia non ha dubbi: "Ora basta parlare, devo andare a preparare i panini".