Perché all'America piace la
LA "Dolce vita" ai tempi di Berlusconi. Il New York Times ha trovato la formula giusta per lanciare "La grande bellezza" di Paolo Sorrentino in America. Il film, piuttosto snobbato dalla critica nostrana e provinciale, è diventato un culto della critica internazionale. Prima ha sbancato gli Efa, gli Oscar europei, come miglior film, regista, attore protagonistae montaggio.
POI è stato inserito nella cinquina del Golden Globe, anticamera degli Oscar. Il viaggio nel mondo dell'opera di Sorrentino merita qualche riflessione perché non accadeva da un'eternità, forse proprio dal capolavoro di Fellini, che un film italiano davvero contemporaneo, sul qui e sull'oggi, riscuotesse tanta attenzione all'estero.
"La grande bellezza" non è una storia di mafia o camorra, un genere molto riconoscibile fuori dai confini. Non è nemmeno una storia d'italiani poveri ma belli fra guerra e dopoguerra, come "Mediterraneo" o "Nuovo Cinema Paradiso" o anche "La vita è bella", sia pure reso universale dal genio poetico di Benigni e Cerami e dal tema assoluto dell'Olocausto. Il film di Sorrentino ha per protagonisti italiani normali e senza qualità, borghesi nostrani ricchi ma brutti. Non si racconta una storia, almeno nel senso convenzionale, non accade davvero nulla, nonè previsto un lieto fine o un riscatto morale. È un viaggio nei mediocri inferi della Roma dei nostri giorni, popolati da poveri diavoli baciati da una certa notorietà mondana, all'affannosa e insoddisfatta ricerca di piaceri tanto fatui quanto stordenti.
Circondatie sfiorati di continuo da una grande bellezza indifferente a loro e alla quale sono indifferenti. Il punto è questo: siamo noi.
"La grande bellezza" è l'unica opera, non solo film, che abbia affrontato e descritto il male di vivere di questi anni. La grande depressione italiana. Dei tanti segreti che affollano la storiae le cronache nazionali, questo è il più occulto e il meno indagato.
Abbiamo centinaia di film e romanzi e saggi che svelano nei dettagli le organizzazioni mafiose e la corruzione politica, le trame vaticane e quelle dei servizi segreti, l'ascesa di Berlusconi e la caduta della prima repubblica. Ma nessuno riesce a raccontare quello che è agli occhi di molti stranieri il vero enigma. Le ragioni che spingono da vent'anni un paese ricco di storia, splendore e talento, a inseguire un insensato e perpetuo carnevale di gusto televisivo, in una colossale perdita di tempo e di occasioni che si traduce in un declino morale, fisico, economico senza rimedio. Un happening all'apparenza festoso e buffo, come le feste romane filmate da Sorrentino, dove gli invitati cercano di affogare crescenti rancori e frustrazioni e fallimenti, per arrendersi alla fine a un senso oscuro di morte.
Jep Gambardella è il disincantato traghettatore di questa discesa all'inferno, romanziere mancato e cronista mondano, come il Marcello Rubini di Fellini e Flaiano, ma con trent'anni in più e ancora meno illusioni. "La grande bellezza" è un titolo paradossale, altro omaggio a Fellini. Per quanto "La dolce vita" sia inarrivabile perfino in questo. Da mezzo secolo la formula usata in tutto il mondo per definire in due parole la gioia di vivere degli italiani è il titolo di un film d'inesorabile, limpida disperazione. Decisamente, all'estero non capiscono gli italiani. Forse è meglio così.
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CURZIO MALTESE