Spettacoli

Allo Sferisterio il magico concerto di Greenwood e Yorke

Chitarrista e vocalist dei Radiohead si sono esibiti nel tempio marchigiano della lirica in una serata benefica per le zone terremotate. Due ore di musica e ventuno canzoni che sono diventati un recital irripetibile

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MACERATA In due sull'enorme palco d'opera, poche luci di scena, tastiere elettroniche, chitarre e un pianoforte; tutt'intorno la suggestiva teoria di colonne dello Sferisterio, tempio marchigiano della lirica, la platea con tremila fortunati che sono riusciti ad accaparrarsi un biglietto in tempi record ...e per tetto un cielo di stelle.
Foto Fabrizio Di Bitonto 

Domenica sera Macerata è stata testimone di un evento unico, e forse irripetibile, il concerto che Jonny Greenwood e Thom Yorke, chitarrista e vocalist dei Radiohead, hanno tenuto a margine dei trionfali concerti del tour A Moon Shaped Pool in supporto dell'associazione ArteProArte (di cui fa parte anche Sharona Katan, la signora Greenwood) che raccoglie fondi per il recupero dei capolavori danneggiati nelle zone terremotate tra Marche, Abruzzo e Umbria. Uno spettacolo che non avrebbe avuto luogo senza l'ormai nota "Italian connection" di Thom & Jonny, il primo fidanzato con l'attrice siciliana Dajana Roncione, l'altro stregato dalle basse Marche al punto da acquistare due anni fa un casale a Sant'Elpidio Morico, frazione di Monsampietro Morico, territorio di Fermo, pensato come un buen retiro dove creare e ammortizzare i contraccolpi del successo. La campagna circostante, meno "pettinata" della Toscana di Sting, gli garantisce l'anonimato e il calore mediterraneo che andava cercando.

Poi il terremoto: i Greenwood erano qui durante le due scosse del 26 agosto e del 30 ottobre 2016, hanno visto i borghi feriti, la chiesa di San Michele Arcangelo danneggiata, l'esodo dei senzatetto verso la costa, i piccoli musei che adorano chiusi per restauro, anche quello di Fermo (la ragione per la quale sono capitati per la prima volta nelle Marche era visitare la Sala del mappamondo). E così hanno deciso di uscire allo scoperto e coinvolgere Thom Yorke in una data unica, per una causa che sta loro (e a noi) molto a cuore.

Dunque un recital più che un concerto rock, due ore di musica, ventuno canzoni, alcune delle quali raramente eseguite dalla band al completo, come Faust Arp, che Yorke interpreta con la stessa convinzione e l'emozione di un bimbo alla prima recita scolastica, Follow Me Around, oscura b-side che non esegue live dal 2010, Cymbal Rush, A Wolf at the Door e, in chiusura dei bis, una roca versione di Karma Police, il brano di Ok Computer che ha da poco compiuto venti anni. Un'accoglienza trionfale per i due Radiohead, arrivati sul palco a notte inoltrata, dopo un concerto da camera del Cubis Quartet a base di Schubert e Shostakovich con un applauditissimo finale insieme allo straordinario bandoneonista fermano Daniele Di Bonaventura (artisti selezionati personalmente da Greenwood), che con la sua composizione Mistico Mediterraneo ha creato il giusto pathos per l'ingresso in scena delle due star.

Thom Yorke stabilisce subito la cifra della performance con una versione di Daydreaming punteggiata da una progressione elettronica seriale studiata da Greenwood per l'occasione. Il chitarrista fa del suo meglio per assecondare l'esigentissimo leader, suona la chitarra, il pianoforte, le tastiere, si destreggia fra la mezza dozzina di computer sparsi qua e là, si raggomitola sul palco in cerca del suono impossibile, soprattutto quando Yorke spazia in libertà in zone inesplorate del pentagramma, come sul finale di Bloom, che sarebbe la colonna sonora ideale per un remake di Zabriskie Point, o si arrampica sulle fantasticherie vocali di Weird Fishes/Arpeggi.

Yorke e Greenwood sono affiatatissimi, perfetti in ogni passaggio, nelle evoluzioni acustiche di The Numbers e in quelle elettroniche di Nude, nei ritmi convulsi di I Might Be Wrong e nelle atmosfere distese, inquietanti e oniriche di Exit Music (for a Film), un brano che Thom è capace di reinventare in ogni concerto con un vigore che lascia sbigottiti. Vocalmente non è mai stato più in forma, in scena è più divertito e rilassato che in passato, quando usava la musica e il potere incantatorio della sua voce per rendersi invisibile. Ora che il successo non è più il mostro terrificante che credeva, e il "creep" che si autocommiserava non ha nulla da invidiare a più accreditati sex symbol, Yorke può esibire più saggiamente le capacità di crooner del nuovo millennio, abbandonandosi totalmente al sogno alienato di How to Disappear Completely dove finalmente, esorcizzati i demoni, riesce a cantare agli angeli (e a muovere il bacino come un tempo non avrebbe mai azzardato sul ritmo di Present Tense e All I Need).

Bisogna tornare indietro di decenni per riscoprire vocalist così originali, versatili e dotati: Tony Hill (High Tide), Roger Chapman (Family), Peter Hammill (Van Der Graaf Generator), Tim Buckley e John Martyn, solo per citare i casi più clamorosi. Ma Yorke non imita, non rubacchia qua e là, non copia timbri e non scippa fraseggi, ha semplicemente le qualità di tutti senza somigliare a nessuno ("La band più rilevante del rock post-Beatles", come si è lasciato sfuggire Paul McCartney parlando dei Radiohead). Bisogna riscoprire certi mitici concerti di Keith Jarrett per ritrovare altrettante ispirazione e intensità.

I bis sono il trionfo del duo: Street Spirit (Fade Out), Everything in Its Right Place con Thom fuso col pianoforte, No Surprise, una allarmante ninnananna. E, soprattutto, Pyramid Song, con Jonny che tira fuori dalle macchine un coro alla Haendel e Thom che fa schizzare la voce fuori dallo Sferisterio, verso i villaggi feriti dal sisma. In quel momento riempiono il palcoscenico dello Sferisterio, che all'inizio sembrava sproporzionato per un duo, meglio della più elaborata scenografia per l'Aida (con elefanti).