Quella stanchezza “da cancro” che non passa mai

Conseguenza del tumore e delle cure, la fatigue è un senso di sfinimento fisico che può durare anni e non passare mai del tutto. Ma è possibile prevederla e combatterla, come dimostra uno studio dell'Istituto Tumori Regina Elena di Roma

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Può durare anni, la fatigue, il senso di astenia, di sfinimento fisico e psichico che si associa alla cura del cancro. Anche 10 anni dal termine dei trattamenti. E chi soffre di ansia e di depressione prima delle cure è più a rischio di rimanerne vittima. Questo ha rilevato uno studio italiano pubblicato di recente su The Breast e condotto da oncologi e psiconcologi dell’Istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma (IRE). È la prima volta che un’indagine valuta - fin dalla diagnosi e per 10 anni - la persistenza di questa malattia nella malattia, di cui soffre fino al 90% dei pazienti oncologici.

"Mi dicono che è tutto passato, che devo reagire. Ma qualche mattina non ho la forza di uscire di casa,  nemmeno di scendere dal letto e  pettinarmi. Io provo a fare le solite faccende che ho sempre fatto, ma mi pesa molto a volte anche stendere il bucato". (Anna, 57 anni, tumore della mammella, in follow up).

La ricerca. Lo studio, che è cominciato 12 anni fa, è una indagine di tipo prospettico che ha coinvolto 78 pazienti con diagnosi di cancro alla mammella sottoposte a chemioterapia seguita o meno da trattamento ormonale. Le pazienti, tramite questionari e colloqui con psicologi, hanno descritto la qualità della loro vita e i sintomi psicologici avvertiti sia nel periodo dei trattamenti sia nei successivi 10 anni di follow up.

I risultati. Dai dati raccolti risulta che raramente la fatigue si presenta dopo l’intervento chirurgico (9% dei casi), ma colpisce quasi la metà delle pazienti (49%) nel corso della chemioterapia. E nel 47% persiste fino alla fine delle cure: un anno dalla terapia avvertiva ancora sintomi di fatigue il 31% delle donne; nel 15-20 di loro questi sintomi non sono mai completamente scomparsi.
Altro dato interessante: le donne con depressione o ansia prima dei trattamenti sono state, in questo studio, quelle più a rischio di sviluppare fatigue nel periodo successivo alle cure. Alla fine della chemioterapia, la persistenza del disturbo è stata associata all'ansia nel 20% delle pazienti e alla depressione nel 15%.  

Un fenomeno multidimensionale. “La fatigue è un fenomeno multidimensionale, una vera e propria sindrome che solo in parte è dovuta ai trattamenti anticancro e con una forte componente psicogena – spiega Alessandra Fabi, oncologa IRE e tra gli autori della ricerca. “Le cure che hanno seguito le pazienti del nostro studio non sono stati fortemente tossiche, eppure dopo 10 anni ancora alcune di loro ci dicono che si sentono stanche, tanto stanche”. “Abbiamo anche visto - riprende Fabi - che ansia e depressione sono fattori prognostici, cioè sono predittori di fatigue. Tutti queste informazioni suggeriscono e rafforzano l’idea che bisogna individuare queste pazienti, identificarle precocemente, per evitare fenomeni che hanno pesanti ripercussioni sulla vita sociale, affettiva, emotiva. L’oncologo - conclude - dovrebbe lavorare in parallelo con lo psicologo a partire dal momento della diagnosi, da subito, come d’altronde fanno oltre oceano”.

Curare la persona, non solo la malattia. "La nostra ricerca indica quanto sia importante che al miglior trattamento oncologico si accompagni la cura della persona in tutti i suoi molteplici aspetti e per tutte le conseguenze che una malattia neoplastica comporta – ragiona Francesco Cognetti, direttore dell’Oncologia Medica 1 dell’IRE e autore senior della ricerca appena pubblicata. In particolare dimostra che la fatigue, condizione estremamente invalidante, può essere anche prevenuta o trattata con interventi mirati e precoci di natura psicoterapica. Abbiamo fatto grandi passi avanti in oncologia e andiamo sempre di più verso la personalizzazione delle terapie, ma dobbiamo personalizzare anche gli aspetti che curano la persona”.

Un problema di cui non si parla Come confermano anche i nuovi dati, la fatigue è un disturbo molto diffuso, quasi la totalità dei pazienti con cancro in terapia ne soffre, eppure la sensazione è che se ne scriva di più di quanto se ne parli. ”È vero – riprende Cognetti - i pazienti, nel nostro caso donne, hanno una sorta di ritrosia a parlare con i medici di quello che non è strettamente correlato alla malattia. Invece andrebbero stimolate a farlo, perché abbiamo strumenti per sostenerle, primo tra tutte, efficace e prezioso, il counseling psicologico. C’è un problema culturale nei malati di cancro e anche nei medici che va rimosso. E questo si può fare anche grazie a studi come il nostro”.