Esteri

I 5 anni da recluso di Julian Assange: dal 2012 nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra

Nonostante l'archiviazione delle accuse svedesi, continua a essere recluso nella sede diplomatica ecuadorena. Solo, con un gatto e il suo computer. Prigioniero della minaccia britannica di arrestarlo comunque e del rischio di estradizione negli Stati Uniti. Che restano pronti a tutto per punire le rivelazioni di WikiLeaks
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In una minuscola ambasciata nel cuore della Londra più ricca e scintillante, a due passi dagli opulenti magazzini Harrods di Knightsbridge, un uomo è rintanato da cinque anni, confinato in due stanzette spartane, zeppe di libri e computer, osservato dalle telecamere interne all'edificio e limitato nella sua possibilità di parlare liberamente, vista la pesante sorveglianza. È confinato in questo stato dal 19 giugno 2012, dopo aver passato un anno e mezzo e mezzo agli arresti domiciliari con un braccialetto elettronico intorno alla caviglia. "Un comandante ribelle sotto assedio", lo ha definito il giornalista americano Michael Hastings, ma c'è una corrente di pensiero che lo considera uno strumento della Russia di Putin, o, nella migliore delle ipotesi, l'utile idiota del Cremlino, come lo ha apostrofato il Guardian.

C'è una sola certezza: da sette anni, Julian Assange e la sua creatura sono sotto indagine negli Stati Uniti per aver rivelato oltre 700mila file segreti del governo americano sulle guerre in Afghanistan e in Iraq, sui rapporti delle ambasciate Usa e sulle schede dei detenuti di Guantanamo; tutti documenti peraltro pubblicati in partnership con decine di media in tutto il mondo, tra cui Repubblica e l'Espresso. Non risulta che i giornali siano finiti sotto inchiesta. Mentre contro WikiLeaks e sul suo fondatore è stato messo in campo ogni strumento legale per costringerli al silenzio: un'istruttoria penale statunitense, un blocco bancario delle donazioni che non ha precedenti nella storia del giornalismo fino agli ordini di arresto per Assange.

Il 7 dicembre 2010, Assange è stato arrestato a Londra - dove si trovava in quel momento - sulla base di un'indagine per stupro in Svezia che nei successivi sette anni non ha fatto alcun progresso ed è rimasta alla fase preliminare, lasciandolo di fatto in un limbo legale senza uscita in cui non veniva scagionato, ma non veniva neppure incriminato: la declinazione moderna del Processo di Franz Kafka. Solo una censura da parte della Corte d'Appello di Stoccolma, che nel 2014 ha stigmatizzato l'impasse giudiziario, e una decisione delle Nazioni Unite, che nel febbraio 2016 hanno stabilito che Svezia e Inghilterra detenevano arbitrariamente Assange, hanno contribuito a superare la paralisi.

Il 14 novembre 2016, la procura svedese ha interrogato per la prima volta a Londra il fondatore di WikiLeaks sui fatti dell'agosto 2010 al centro dell'inchiesta e il 19 maggio scorso ha preso una decisione: ha archiviato l'indagine, facendo così decadere il mandato di arresto europeo. Caso chiuso, però, non vuol dire affatto libertà. Se oggi Assange provasse a mettere un solo piede fuori dall'ambasciata dell'Ecuador, in cui è protetto dall'asilo politico, verrebbe immediatamente fermato dalle autorità inglesi per aver violato le condizioni del rilascio su cauzione nel 2012, quando decise di rifugiarsi nella sede diplomatica.

L'arresto in sé non sarebbe nulla di grave, la pena prevista infatti è minima, ma una volta nelle mani delle autorità britanniche, potrebbe facilmente finire estradato negli Stati Uniti. Il Regno Unito infatti ha sostanzialmente ignorato il pronunciamento dell'Onu sulla detenzione arbitraria, nonostante anche il ricorso contro questa decisione sia stato respinto dalle Nazioni Unite.

Un mese dopo l'archiviazione delle accuse svedesi, non si riesce ancora a prospettare una exit strategy. E le condizioni di vita nella sede diplomatica ecuadoriana sono sempre più problematiche. Cinque anni senza mai poter uscire, senza poter fare accertamenti ospedalieri per alcuni dei problemi di salute che ha avuto in questi anni, senza un raggio di sole, un'interazione minimamente normale con familiari e amici, stanno minando seriamente la sua salute fisica e psichica. In un spazio angusto, privo di qualsiasi struttura che permetta ad Assange di accedere almeno a quell'ora d'aria che spetta perfino ai detenuti dei penitenziari di massima sicurezza, anche un problema di salute relativamente banale rischia di diventare ingestibile: l'Inghilterra ha fatto sapere che lo arresterebbe anche se solo avesse l'urgenza di uscire per recarsi in ospedale.

Psicologicamente, poi, l'andirivieni di visite che riceve o il gatto che gli hanno regalato i figli per farlo sentire meno solo possono alleviare solo in parte l'isolamento. In un'intervista all'autore americano di satira, Randy Credico, la madre, Christine Assange, ha raccontato che sono ormai quattro anni che non riesce a dare un abbraccio al figlio. "Ho passato sette anni da recluso, prima agli arresti domiciliari e poi quasi cinque in questa ambasciata privato della luce del sole, senza essere mai stato incriminato, mentre i miei figli crescevano senza di me", ha detto il giorno dell'archiviazione dell'indagine svedese, aggiungendo: "È qualcosa che non posso né dimenticare né perdonare".

Sulla sua vita privata, Julian Assange è riservato, ma non ha mai fatto mistero che quello che davvero gli manca è la sua famiglia. E il modo in cui risponde a questa assenza e alla pressione psicologica è lavorare giorno e notte. Paradossalmente, se lo scopo ultimo della sua detenzione era davvero quello di fermare le pubblicazioni di documenti segreti da parte di WikiLeaks, ha sortito l'effetto contrario.

Anche all'interno della sede diplomatica i rapporti sono spesso tesi: al culmine della polemica internazionale sulla pubblicazione delle email del Partito democratico americano, l'Ecuador è arrivato a tagliargli la connessione a internet, poi ristabilita. E appena eletto, il nuovo presidente ecuadoriano, Lenin Moreno, che pure gli ha riconfermato l'asilo politico, lo ha avvertito di non immischiarsi nella politica dell'Ecuador. Un avvertimento inequivocabile a cui il fondatore di WikiLeaks ha risposto via Twitter: "Gli ecuadoriani possono stare certi che se WikiLeaks riceverà prove della corruzione in Ecuador, verranno pubblicate".
 
Come spera di uscire, Julian Assange? Una delle possibili soluzioni è che l'Inghilterra alla fine accetti la decisione dell'Onu e gli conceda un salvacondotto per lasciare l'ambasciata e recarsi in Ecuador, dove gode legittimamente del diritto di asilo. Come ha fatto notare Jennifer Robinson, avvocato esperto di diritti umani del team legale di Assange e che con Amal Clooney lavora per studio legale londinese Doughty Street Chambers, il fatto che il Regno Unito ignori il pronunciamento dell'Onu causa un danno che va ben oltre questo caso, perché costituisce un precedente che potrebbe venire adottato anche da paesi autoritari come la Cina, la Russia, la Corea del Nord. Persino il salvacondotto, però, non risolverebbe il problema centrale: l'inchiesta del governo americano contro Assange e la sua organizzazione. Fino a quando gli Usa la porteranno avanti, l'intero staff è a rischio di incriminazione e di estradizione. 

Le dichiarazioni aggressive del nuovo capo della Cia, Mike Pompeo, a cui hanno fatto seguito quelle dell'Attorney General Jeff Sessions e quelle dell'ormai ex capo dell'Fbi, James Comey, confermano la volontà degli Stati Uniti di procedere contro WikiLeaks. E la battaglia decisiva sarà quella intorno al First Amendment della Costituzione americana, che garantisce una protezione formidabile alla libertà di pubblicazione. È l'ultima barriera: se all'organizzazione verrà negato il riconoscimento di questo diritto, la strada per l'incriminazione sarà spianata.