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La sfida di Rossella Ferro: con la pasta made in Molise sugli scaffali di 80 Paesi nel mondo

Donne impresa 42. Laureata alla Luiss, quarta generazione di una famiglia di mugnai, nel 2011 ha rilevato il pastificio "La Molisana" dal concordato fallimentare: ora è il quinto player in Italia. Il segreto? "Mai avuto contributi o chiesto favori. Abbiamo solo lavorato duramente"

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“La certificazione dell’acqua, un valore per il Molise: ci siamo arrivati, finalmente. E noi tutti operatori potremo utilizzare questo logo per dire che la nostra pasta è fatta con acqua iposodica leggera, di una regione vergine, montuosa e fredda, con appena 315 mila abitanti, quasi priva di industrie inquinanti”. Un’imprenditrice old style Rossella Ferro, proprietaria del pastificio La Molisana di Campobasso, rilevato dal concordato fallimentare nel 2011. Lei, 49 anni, laureata in Economia alla Luiss con tesi pubblicata in Diritto commerciale, con la sua famiglia ha voluto realizzare il sogno di tutti i mugnai: chiudere la filiera mettendo le mani in pasta. La storica fabbrica dei maccheroni, un tempo presente in trenta paesi all’estero, era precipitata allo 0,3 per cento del ranking del mercato nazionale. Dopo sei anni di lavoro, investimenti e dura riorganizzazione, la sfida sta dando risultati e il quadro si è ribaltato. Raggiunta la quota del 5 per cento, il pastificio La Molisana ora è il quinto player in Italia dopo Barilla, Divella, De Cecco e Garofalo.

Rossella Ferro, quarta generazione di produttori di farine e di semola per pasta, guida il processo di rilancio nella veste di responsabile marketing e comunicazione. “All’inizio - racconta l’imprenditrice - ci hanno considerati dei folli. Ma nel nostro progetto industriale è stato importante, con il suo incoraggiamento, mio padre Vincenzo, classe 1936. Abbiamo sempre lavorato seriamente, mai avuto contributi, mai chiesto favori alla politica”. Lui, nipote del fondatore Domenico, un panificatore napoletano di Frattamaggiore che era proprietario di nove forni e nove carretti, continua a lavorare part time e arriva ogni giorno puntuale in azienda alle 7,30.

La Molisana è un gruppo industriale con quattro soci: Rossella, suo fratello Giuseppe, amministratore delegato e direttore commerciale e due cugini, Francesco e Flavio, rispettivamente direttore di stabilimento e responsabile del mulino. A capo del collegio sindacale c’è l’avvocato Bruno Lo Giudice, un ex colonnello della Guardia di Finanza, dominus dello studio fiscale tributario di Roma dove Rossella Ferro ha lavorato per due anni dopo l’università. “Credo molto nel controllo – dice la manager – che se fatto seriamente ci fa crescere”.

Tre i siti produttivi: uno a Foggia dove c’è il deposito di stoccaggio dei grani acquistati e selezionati, con una capacità di 240mila tonnellate che è la più grande d’Europa; due a Campobasso: il mulino per la macina e la semola e il pastificio, per un totale di un milione di quintali di prodotto. Il 2016 si è chiuso con un fatturato consolidato di 115 milioni di euro. “Nel triennio prossimo prevediamo di crescere ogni anno del 20 per cento. Sono in fase di studio altri prodotti che potrebbero rientrare nella nostra offerta: sughi e pomodorini destinati soprattutto al mercato estero”.

La Molisana è negli scaffali di 80 paesi con il 35 per cento della produzione. Le nazioni top per il marchio sono Canada, Stati Uniti, Brasile, Australia, Giappone, Spagna e Portogallo. “Vogliamo sviluppare meglio l’America del Sud e l’Asia – spiega la manager -. In Cina ci siamo già, ma è un paese enorme che da poco si è aperto ai prodotti di alta gamma per fasce di popolazione più ricche”. La strategia industriale punta a intercettare le esigenze di territori molto grandi e diversi tra di loro, attraverso i canali food service e quello retail della grande distribuzione. “Ogni paese è una storia a sé, agiamo con diversi partner importatori e distributori. In Giappone avevamo un corrispondente storico. Si vendeva poco e soprattutto per private lable, 70 e 30 per cento. Ora abbiamo capovolto il rapporto: il 25 per cento è senza il nostro marchio, il resto è tutto La Molisana”.

Lavorare al Sud, ragiona Ferro, è una corsa a ostacoli, l’imprenditore che vuole riuscire non deve fermarsi davanti ai problemi, deve andare oltre. “Siamo in una zona isolata, con vie di comunicazione pessime; distribuiamo su gomma, non possiamo utilizzare né ferro né navi”.
Innovare in tutti i comparti è stato il mantra, l’azienda è diventata un cantiere. L’obiettivo era raggiungere un format di alta efficienza industriale, ottimizzando i costi e dando valore alle risorse umane che dopo anni di curatela fallimentare avevano perso ogni motivazione. Con un investimento di 30 milioni di euro, è partito il progetto di totale restyling degli impianti e del brand, con la nuova confezione: bianca, blu con lo stemma rosso della Regione Molise, “tutti colori simbolici che dovevano risvegliare l’interesse del consumatore e diventare il veicolo dell’identità di marca e del prodotto legato al territorio. Ho pensato che fosse importante, come una bandiera”.

Con quelli che hanno abbracciato con favore la spinta innovativa, La Molisana ha formato la squadra giusta. Tra 130 dipendenti diretti e quelli delle cooperative, si tocca quota 207, negli uffici le donne sono più del 50 per cento.

Nel 2016 un altro passo avanti: la firma di contratti di filiera con una trentina di produttori locali in Molise e nel Foggiano, per acquisire un seme che si chiama Maestà. “Il progetto – spiega Ferro - è quello di utilizzare il grano locale di qualità incentivando la crescita culturale degli agricoltori di quest’area, secondo metodi scientifici, perché nulla è lasciato al caso. Abbiamo investito e se l’esperimento riesce, moltiplicheremo i volumi prodotti”. Il piano è creare la linea premium di solo grano italiano ‘Cavalier Giuseppe Ferro’, brand che porta il nome del nonno, con cui realizzare prodotti integrali e gli sfarinati. “L’idea è di favorire le produzioni italiane di grano duro. In estate avremo il primo raccolto”.

Anche nella pasta e farina integrali, l’azienda di Campobasso è cresciuta fino a diventare leader al pari di Barilla e Garofalo. “Abbiamo elaborato un prodotto di un gusto eccezionale, dolce, non più medicale. Anche gli sfarinati che sono il nostro core business, stanno avendo un grande riscontro e con quelli siamo dopo De Cecco. La nostra semola per pizza poi è ricca di carotenoidi, antiossidanti naturali, con un indice glicemico molto basso, senza lievito e molto digeribile”.

Sposata e divorziata da quattro anni, Rossella Ferro ha due figli, Rosario di 16 anni e Paola di 12. “La mia priorità sono loro e cerco di fare i salti mortali per conciliare la famiglia con il lavoro a cui sono molto legata perché, come mi ha insegnato mio padre, è dignità, è il nerbo della vita quotidiana, oltre che il sostentamento. Dalla motivazione e l’entusiasmo viene la nostra ricchezza. I miei collaboratori lo sanno e me lo riconoscono: sanno di partecipare a una scommessa. Questo ci consente di lavorare con spirito sereno e leale. Il business è importante, il consumer è il nostro interlocutore, ma vorrei che nel futuro questa diventasse una comunità, dove si corre meno e ci si guarda più in faccia”. Su questa linea, insieme all’università Cattolica, sta organizzando screening periodici per i dipendenti della fabbrica, “perché so quanta fatica si fa a trovare il tempo per pensare anche alla tutela della salute”.

Fin da bambina lo sport agonistico è stata la sua valvola di sfogo con discreti risultati: campionessa regionale di sci, ha giocato dieci anni a pallacanestro nelle serie minori, da pivot col suo metro e 76: “Una sana competizione dà le regole ai ragazzi e li tiene lontani dai rischi che possono correre. Ti aiuta a raccogliere e sistemare le emozioni che via via provi, nella vittoria e nella sconfitta”.

L’altra sua personale sfida sul territorio è stata quella di assumere la presidenza di Demos, un istituto tecnico superiore tra gli 80 nati nel 2010 da un accordo tra Miur e Confindustria sul modello tedesco. Sono corsi biennali alternativi al percorso universitario, che formano manodopera tecnica altamente specializzata e servono per eliminare il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. Su dieci ragazzi che si diplomano, otto vengono assunti. Dopo il tirocinio in azienda, è facile che restino all’interno. “Quando sono arrivata, Demos era commissariato e avrebbe perso i finanziamenti. I primi due anni sono stati difficilissimi, ho toccato con mano il sistema italiano, quanto gli interessi particolari possano ostacolare il raggiungimento degli obiettivi. Ora riesco a mandare i ragazzi all’estero, è una grande opportunità sia per loro che per l’industria, e crescere culturalmente all’interno delle aziende significa avere più successo”.

L’impegno nella comunità molisana per Rossella Ferro “è un valore che ci è stato trasmesso dai genitori e da mio nonno Giuseppe, insignito al merito per la ricostruzione post-bellica. Quasi fossimo un’istituzione, rappresentiamo il contagio positivo, l’esempio e questo mi inorgoglisce. Vedo che quando aderiamo a un evento, si accodano tante altre realtà. Rappresentiamo ciò che si può fare nel Molise, nonostante tutto”.