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(reuters)

Iran al voto: sfida tra Rohani e Raisi

Le prime elezioni dopo l'accordo nucleare del 2015. Il moderato riformista in carica difende quell'intesa da lui siglata mentre il conservatore lo critica. La fortissima affluenza, circa il 70%, ha indotto le autorità a protrarre di molte ore le operazioni

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TEHERAN - Gli iraniani hanno votato oggi in quello che si è trasformato direttamente in un ballottaggio fra i due candidati più potenti fra i quattro rimasti in gara per diventare presidente della Repubblica islamica. Il primo è il presidente uscente, il moderato riformatore Hassan Rohani, 68 anni, il religioso che ha saputo chiudere un accordo sul nucleare iraniano con il gruppo dei 5+1 guidati dagli Usa.  Il suo rivale è Ebrahim Raisi, 56 anni, un religioso conservatore sostenuto dalla guida suprema della Repubblica islamica Alì Khamenei e con lui da tutte le istituzioni più conservatrici del Paese, ma anche dagli strati più umili e poveri della popolazione.

L'Iran ha 80 milioni di abitanti, 56 milioni dei quali hanno diritto al voto; si vota in una giornata, i seggi dovevano chiudere alle 18 ora locale (le 17.30 in Italia), ma come già accaduto in passato la fortissima partecipazione ha indotto le autorità a prolungare fino alle 22 e poi fino a mezzanotte l'apertura dei 64 mila seggi. Non è chiaro se già nella notte verranno diffusi i primi risultati, mentre i definitvi dovrebbero essere resi noti soltanto domani pomeriggio dal ministero degli Interni. 

Raisi è stato una sorpresa in questa campagna elettorale: uomo discreto e poco comunicativo, da tempo era stato prescelto dall'ayatollah Khamenei. Il 7 marzo 2016 la Guida lo aveva nominato a capo della fondazione "Astan Quds Razavi", la ricca istituzione che amministra il santuario sciita dell'Imam Reza a Mashaad e tutte le istituzioni commerciali ed economiche collegate, un piccolo impero da 13 miliardi di dollari che dà lavoro a 19 mila persone.
 
Praticamente sconosciuto fino a tre mesi fa, Raisi ha costruito una coalizione populista, isolazionista, conservatrice e "militarista" (con riferimento alle Guardie della rivoluzione e ai basiji) che ha ottime possibilità di mettere in pericolo il primato di Rohani. Entrato in campagna elettorale in punta di piedi, ha alzato i toni contro il presidente, attaccandolo su quello che è l'unico punto debole dei quattro anni di governo dei riformisti: la situazione dell'economia. Uscito da otto anni di isolamento politico ed economico governati dall'iperpopulista Mahmud Ahmadinejad, l'Iran non ha ancora preso slancio nella ripresa economica nonostante Rohani abbia siglato l'accordo nucleare che ha interrotto le sanzioni. Su questo, sul fatto che per esempio gli americani ancora non hanno rimosso le loro sanzioni, Raisi ha attaccato Rohani a testa bassa. "Il tuo governo è stato un fallimento in economia, io porterò altri quattro milioni di posti di lavoro", ha martellato il candidato conservatore, evocando toni demagogici e populisti che ormai sembrano diventati di moda ai quattro angoli del mondo.
 
Andando a votare alle 8 in punto, la Guida suprema Ali Khamenei ha detto che "il futuro della Repubblica islamica è nelle mani dei nostri cittadini, dei nostri elettori". Frase che è un invito a votare massicciamente, ma che ha anche molte, diverse spiegazioni. Primo, il voto confermerà o meno al governo la coalizione riformisti moderati, e potrebbe rappresentare un marginalizzazione seria di conservatori e "principalisti". Secondo, il voto deciderà se continuare o meno con l'apertura all'Europa (e con l'incognita Trump anche agli Usa), oppure se tornare alla politica di isolamento e di alleanza con Russia/Cina. Terzo, il voto metterà in posizione privilegiata il possibile successore di Khamenei come Guida suprema.
 
Le elezioni nel sistema teocratico iraniano certo non sono lo strumento unico e finale per assegnare il potere alle varie componenti del Paese; ma non sono neppure un giocattolo, una farsa con cui il dittatore (o l'oligarchia) di turno dà vita a una finzione di processo democratico. Sono un processo vero, serio, una contesa combattuta fino in fondo. E questa volta le presidenziali oltre a decidere il governo dell'Iran saranno influenti per altre scelte strategiche. Innanzitutto quella dell'individuazione della nuova Guida suprema. Come dicevamo se Rohani vince passa in prima linea per diventare Guida alla scomparsa di Khamenei.

Se vince Raisi invece sicuramente chiuderà con l'apertura di Rohani all'Occidente, soprattutto all'Europa, consoliderà i rapporti con la Russia, la Cina, l'India e le altre potenze che ormai sono in grado di consolidare un blocco di potere economico e politico alternativo se non antagonista a quello che l'America di Trump sembra destinata a lasciarsi sfuggire di mano. E lo stesso Raisi in caso di vittoria sarebbe il candidato in prima posizione per l'incarico di Guida.