Esteri

La rotta dei disperati. Fra i migranti del Niger che sognano il biglietto per l’Italia

Il Paese africano è una tappa obbligata per chi vuole arrivare in Europa salpando dalle coste della Libia. Ma deve prima subire torture e minacce di trafficanti e criminali
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DIRKOU (Nord del Niger) - Laggiù in fondo al deserto, sulla linea dell'orizzonte, c'è una piccola scia di schiuma grigia che si muove e si agita come un serpentello. Il fuoristrada dell'esercito nigerino vira rapido verso sinistra, abbandona la pista nel deserto per correre verso la schiuma. Poco alla volta si avvicina, la striscia in movimento si trasforma nelle gobbe grigie di una mandria di cammelli.

Gli otto uomini che guidano la mandria si dividono i compiti. Per 2 ore quattro di loro marciano a piedi, per guidare e indirizzare i cammelli da terra, lavorando come cani-pastore. Gli altri invece montano sulle bestie. Si avvicina il capo, "veniamo da Tesker, nel Sud del Niger, se Allah ci aiuta in 25 giorni arriveremo in Libia, in tempo per vendere i cammelli prima del Ramadan".
 

Tra Nigeria e Libia, sulla rotta dei disperati: "Per tanti solo deserto, prigionia e violenze"

Come mille anni fa, la carovana attraversa il deserto contando solo sulle sue forze. L'unico aiuto "moderno" è il grande, vecchio camion Mercedes stracarico di balle di paglia che 2 ore fa avevamo visto fermo in un'oasi più a Nord: "Il camion viaggia prima di noi e ci aspetta, i cammelli devono mangiare altrimenti arriveranno in Libia pelle e ossa, e non riusciremmo a venderli bene...".
 
I cammelli mangiano. I migranti non c'è bisogno che mangino: basta portarne il più possibile in Libia. Come ci arrivano sono fatti loro. La rotta dei cammelli in parte coincide con quella dei migranti che dall'Africa Occidentale (Senegal, Guinea, Nigeria) risalgono verso il Niger con gli autobus di linea, arrivano nella capitale dei migranti Agadez e poi risalgono ancora a sinistra verso Arlit e l'Algeria oppure a destra sulla rotta Dirkou-Seguedine-Madama per entrare in Libia, passare da Gatrun e raccogliersi a Sebha, la città del Sud della Libia in cui è accertato che i casi di violenze e torture contro i migranti ormai sono diventati schiavismo.
 
Dirkou è la Lampedusa d'Africa. Se Lampedusa è l'isola nel Mediterraneo in cui i migranti arrivano, Dirkou è l'ultima isola nel Sahara da cui partono. L'ultimo villaggio in questa "via crucis" d'Africa prima di precipitare nell'abisso di violenza che si chiama Libia. Dalla capitale Niamey con un volo dell'Onu siamo arrivati prima ad Agadez e poi a Dirkou, per proseguire nel deserto fino a Seguedine e infine a Dao Timni, ultimo posto militare nigerino prima di Madama, la base in cui le truppe speciali francesi sorvegliano il confine con la Libia. Viaggiamo con una missione dell'Oim, l'Organizzazione internazionale dei migranti dell'Onu, che in Niger è guidata dall'italiano Giuseppe Loprete. 
 
Nel deserto del Niger, un paese grande due volte la Francia ma con soltanto 18 milioni di anime, le carovane di cammelli sono la normalità. Come i fuoristrada dei trafficanti di migranti. Djaram Boubakar Mahamat è il sindaco di Dirkou. E' al suo secondo mandato, ma governa da 12 anni visto che il governo di Niamey ormai ha bloccato le elezioni: non ci sono le condizioni di sicurezza e soprattutto non ci sono i soldi per organizzare il voto, per mandare scrutatori a raccogliere le schede degli elettori in questo paese sterminato.
Il sindaco ci ospita a cena nella sua casa-fattoria nel centro del paese, un pugno di case di terra e fango al centro del deserto. Alla destra della lunga tavolata, dietro le reti, c'è un piccolo zoo: uno struzzo che pare narcotizzato dal caldo, un paio di gentili gazzelle del deserto, una decina di oche che girano libere in tutta la fattoria, un paio di pavoni. Sui teli di plastica colorata che ricoprono i tavoli servono un montone arrostito con la pancia farcita di cous cous insaporito da una cipolla dolcissima. E' un pranzo d'eccezione, il montone di solito lo servono ai matrimoni. Ma il sindaco non mangia, rimane in silenzio per lunghi minuti. Poi all'improvviso sbotta. "Per anni i migranti che passavano ci hanno portato soldi, hanno aiutato i nostri commercianti, hanno fatto venire qui la Croce rossa, le Nazioni Unite, l'Oim. Ma adesso migranti ce ne sono sempre meno... si sono spostati, passano dentro il deserto, lontano da Dirkou, perché qui c'è l'esercito che li ferma e li rimanda indietro".
 
e tutti i sindaci anche Djaram pensa all'economia, ai commerci della sua città. E come tutti i sindaci si lamenta: "Non ci sono più migranti, non so dove passano adesso, ma qui non ci sono più. Vedi quei commercianti sulla piazza? Sono fermi, non fanno più nulla. Fino a 3 mesi fa facevamo 6 o 7 milioni di franchi CFA di tasse alla settimana (10.000 euro), adesso neppure 60.000 (100 euro), una miseria. E sono io, il sindaco, che pago per i malati, per il carburante delle ambulanze che vanno fino ad Agadez. Non c'è più passaggio di migranti, è ritornata la povertà".
 
Anche il sindaco ha sentito parlare di Lampedusa. I migranti che passano da qui sanno che Lampedusa è in Italia, ma i trafficanti raccontano loro il falso pur di spillare soldi ai giovani africani: dicono "Lampedusa è il villaggio dall'altra parte del fiume che c'è dopo la Libia, lo attraversiamo e siamo in Europa". Così gli dicono i trafficanti: passi un fiume e c'è l'Italia.
 
Cosa sta succedendo? Sette giorni in Niger ti raccontano alcuni cambiamenti: il flusso dei migranti sembra essersi ridotto, ma invece si è solo spostato, è diventato più clandestino per sfuggire alla polizia e all'esercito nigerino. Dal giugno del 2016 il governo del Niger ha fatto una legge contro il traffico e ha iniziato a bloccare i mezzi dei trafficanti. In Niger parlare di "traffico" con una accezione di illegalità è esagerato. Per tutti è un normale "trasporto". I migranti che voglio andare in Europa provengono tutti da paesi dell'Africa occidentale della Cedeao, la comunità economica della regione, una sorta di Ue africana in cui i cittadini si possono muovere liberamente con la carta di identità. Per questo chi li trasporta da un paese all'altro non si sente un trafficante di migranti. In verità lo è, perché da Agadez in poi per essere scelto dai migranti che gli affidano i loro soldi, il trafficante è in contatto con qualcuno in Libia a cui passare i suoi uomini. E in Libia i trafficanti sono veri criminali.
 
El Haji Lawal Taher, il presidente della Croce rossa della regione, è un tebou che fa mille mestieri. I tebou sono fratelli-coltelli dei tuareg, un popolo nomade che da sempre vive a cavallo fra Ciad, Niger e Libia. L'uomo fa l'agente di viaggio quando porta pellegrini alla Mecca, e infatti "el haji" nel nome vuol dire che è stato in pellegrinaggio alla Mecca. "Ogni 14 biglietti me ne danno uno in omaggio, io sono stato alla Mecca già 4 volte". Poi importa auto dalla Libia, di qualsiasi tipo e di qualsiasi provenienza. "Io sono un tebou, e noi tebou siamo in Niger, in Libia e in Ciad, ci conosciamo tutti, siamo una grande famiglia, per cui in Libia io entro ed esco, sono a casa mia". Ha una fattoria a Bilma, ha una casa qui a Dirkou. "Ho esperienza di anni nello spostamento dei migranti: 20 anni fa viaggiavano anche sui cammelli, oggi usano le auto. Si, le rotte, dei migranti stanno cambiando, si allontanano dalle città e dai villaggi perché l'esercito ha iniziato a bloccarli: i soldati fermano i trasportatori e sequestrano le auto, quelli perdono bei soldi. Così i migranti sono costretti a pagare di più perché pagano anche il rischio che i trafficanti perdano le auto. E loro stessi rischiano sempre di più, morire nel deserto, essere abbandonati come cani".
 
Azouz, uno dei nigerini che lavora per la Croce rossa, racconta una storia che tutti ripetono spesso: "Per sfuggire all'esercito i trafficanti da qualche mese usano una nuova automobile, la Toyota Tundra". Nel deserto fra Libia e Niger ancora oggi l'auto più usata è la Hilux, un pick up da 2.700 cc di cilindrata a benzina. Sei posti in cabina che diventano anche 10 stringendosi, e fino a 30 migranti caricati nel cassone. La Tundra invece è un piccolo mostro da 5.7 litri, potente, veloce, capace di fuggire a 140 all'ora nel deserto per allontanarsi dai gipponi dell'esercito o della polizia. L'unico modo per intercettarli è beccarli dove si fermano, nelle oasi o ai pozzi d'acqua. Ma se loro non si fermano ai pozzi? Il deserto è come il mare, cercarli è difficile.
 
Taher, il capo della Croce rossa, ha parenti tebou in Libia: "Vado spesso in Libia, e sì, è vero, inizio a trovare ovunque migranti che vogliono tornare indietro, li ho visti a Gatrun e a Sebha. Perché partono dai loro paesi? Per la povertà, è chiaro. Perché tornano indietro? Perché in Libia li tagliano a fette pur di fargli chiedere soldi ai parenti".
 
Altri 100 chilometri verso la frontiera libica e c'è un piccolo villaggio, poche case di fango al fianco della pista nel deserto. Ha un nome dolce e musicale, Seguedine. Il sindaco non c'è, c'è un capo villaggio, Sidi Arfaye, non vedente, poverissimo, molto rispettato. Anche lui conferma, i migranti si sono allontanati da questa rotta, non passano più nel villaggio: "Anche quei pochi soldi che ci portavano sono scomparsi. L'Onu aiuta i migranti, ma perché non aiuta anche noi?? I migranti quando si fermano ci portano qualche soldo, ma sono anche un problema: mangiano i pochi datteri rimasti sui nostri alberi, prendono la poca acqua dei pozzi".
 
Giuseppe Loprete, il capo dell'OIM, raccoglie le storie che gli arrivano dai suoi uomini, dai sindaci, dai poliziotti sul campo. E riassume le lezioni di questo lungo viaggio nel deserto: "Noi siamo presenti sulle rotte principali, ma ormai le rotte cambiano, entrano sempre di più nel deserto. I migranti arrivano ancora, ma passano sempre più in profondità nel deserto, e per loro è sempre più pericoloso". Il secondo tema, è quello dei ritorni dalla Libia: "Sì, ormai molti ritornano dalla Libia, fuggono dalle violenze diffuse in tutto il paese. Noi li aiutiamo a rientrare a casa. Ma poi il passa-parola fra i migranti convince altri ad abbandonare il viaggio prima ancora di proseguire. Ad Agadez, a Dirkou i racconti di quelli che fuggono convincono qualcuno che proseguire in Libia è una follia". Bisognerebbe davvero spiegarlo ai migranti, bisognerebbe aiutarli a non partire: "Ma l'unica maniera seria per farlo è aiutarli a casa loro, in Senegal, in Guinea, nell'Africa occidentale", dice Giuseppe. Perché quando arrivano nel deserto anche i cammelli vengono trattati meglio; se muoiono i migranti neppure vengono seppelliti, li lasciano sulla sabbia di un deserto che non avrebbero mai voluto attraversare.