WASHINGTON - "La verità è che non si può più rinviare, siamo l'unico paese che ha istituzionalizzato il rinvio: da dodici anni approviamo un provvedimento che si chiama "Milleproroghe"".
Carlo Cottarelli, lascerà a novembre il suo posto da direttore esecutivo dell'Fmi con un anno di anticipo, tornerà in Italia per insegnare alla Bocconi e per dimostrare che i problemi della Penisola sono in cima alla lista dei suoi pensieri sta lavorando su un libro, che sarà pubblicato a inizio 2018 da Feltrinelli, dove mette all'indice i "sette peccati capitali" del nostro Paese. Sta anche pensando alla creazione di un Osservatorio per promuovere il rafforzamento dei conti pubblici italiani.
Dottor Cottarelli, ha visto il Def appena sfornato?
"Mi sembra buono. È bene che si mantengano gli obiettivi di riduzione del deficit e si fissi il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2020, l'unica strada per ridurre il debito pubblico".
Non sarà una passeggiata: ci sono almeno 20 miliardi di tagli per sostituire l'aumento dell'Iva. Lei dell'Iva che pensa: non varrebbe la pena aumentarla?
"No, sull'Iva non mi esprimo anche se io preferisco la strada dei tagli di spesa".
Non rischia di essere dolorosa?
"Nel quadro del Def la correzione dei conti è accompagnata da una crescita intorno all'1 per cento, una proiezione che è sostanzialmente condivisa anche dal World Economic Outlook appena uscito. In ogni caso, ridurre il deficit e pareggiare il bilancio resta una priorità. Se non lo facessimo resteremmo esposti nel medio termine alla speculazione internazionale e al rischio di crisi quali quella che ci ha colpito nel 2011-12 e che ha avuto un effetto devastante, e molto doloroso, sul Pil".
Qui mi permetto di richiamare la sua esperienza diretta di responsabile della spending review in Italia. Da dove cominciare con i tagli?
"Non comincerei con la pubblica istruzione e anche la sanità ha già dato molto, anche se qualche spazio c'è ancora".
Allora dove, lei ha passato al setaccio il bilancio?
"Detrazioni fiscali, trasferimenti alle imprese, contributi vari che lo stato dà e non sono prioritari. Lì si può tagliare. Bisogna ripartire da quel lavoro, e da quello fatto poi da Perotti, e aggiornarlo per i tre anni che sono trascorsi".
Beni e servizi?
"Anche".
Ci si è battuti per avere un unico ente appaltante: anche la Consip tuttavia è incappata in qualche guaio.
"L'idea di ridurre le stazioni appaltanti resta giusta. Anzi il fatto che siano venute a galla alcune questioni (vedremo poi che dice la magistratura), dimostra che è più facile controllare pochi centri di appalto che 34 mila come erano fino a poco tempo fa. L'architettura della riforma degli acquisti iniziata nel 2014 funziona".
Lei sostiene che con il raggiungimento del pareggio di bilancio la strada per la riduzione del debito è in discesa. C'è chi dice che non sia sufficiente e serva la patrimoniale...
"No. Ma non perché sono contrario ideologicamente, ma perché è di non facile implementazione. Per servire deve essere una tantum e definitiva, dunque molto forte. Ma se è molto forte rischia di creare al Paese grossi problemi di liquidità: pensi a chi ha un paio di appartamenti ma niente in banca".
C'è chi spera nella mutualizzazione del debito a livello europeo.
"Non arriverà mai. Germania e Finlandia non diranno mai sì. Neanche qui negli Stati Uniti, dove è stata raggiunta un'unione politica il debito della California è messo in comune con quello federale ".
Altri propongono di mettere insieme i beni dello Stato in una società e poi emettere titoli speciali.
"Io penso che la strada giusta sia quella di privatizzare le società di Stato e il Def prevede entrate dello 0,3 per cento di Pil nei prossimi anni. Non può venire da qui la soluzione al problema del debito italiano, ma comunque aiuta la discesa del debito".
Ci sarebbe la lotta all'evasione.
"È una riforma strutturale, aiuterebbe il debito e la concorrenza. Il fenomeno è molto più alto di quanto si pensa: la Commissione Giovannini calcola 110 miliardi, ma la base su cui rileva il mancato gettito non include i contributi degli autonomi e diverse imposte indirette. Includendo queste si può arrivare a una cifra di circa 150 miliardi".
Carlo Cottarelli, lascerà a novembre il suo posto da direttore esecutivo dell'Fmi con un anno di anticipo, tornerà in Italia per insegnare alla Bocconi e per dimostrare che i problemi della Penisola sono in cima alla lista dei suoi pensieri sta lavorando su un libro, che sarà pubblicato a inizio 2018 da Feltrinelli, dove mette all'indice i "sette peccati capitali" del nostro Paese. Sta anche pensando alla creazione di un Osservatorio per promuovere il rafforzamento dei conti pubblici italiani.
Dottor Cottarelli, ha visto il Def appena sfornato?
"Mi sembra buono. È bene che si mantengano gli obiettivi di riduzione del deficit e si fissi il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2020, l'unica strada per ridurre il debito pubblico".
Non sarà una passeggiata: ci sono almeno 20 miliardi di tagli per sostituire l'aumento dell'Iva. Lei dell'Iva che pensa: non varrebbe la pena aumentarla?
"No, sull'Iva non mi esprimo anche se io preferisco la strada dei tagli di spesa".
Non rischia di essere dolorosa?
"Nel quadro del Def la correzione dei conti è accompagnata da una crescita intorno all'1 per cento, una proiezione che è sostanzialmente condivisa anche dal World Economic Outlook appena uscito. In ogni caso, ridurre il deficit e pareggiare il bilancio resta una priorità. Se non lo facessimo resteremmo esposti nel medio termine alla speculazione internazionale e al rischio di crisi quali quella che ci ha colpito nel 2011-12 e che ha avuto un effetto devastante, e molto doloroso, sul Pil".
Qui mi permetto di richiamare la sua esperienza diretta di responsabile della spending review in Italia. Da dove cominciare con i tagli?
"Non comincerei con la pubblica istruzione e anche la sanità ha già dato molto, anche se qualche spazio c'è ancora".
Allora dove, lei ha passato al setaccio il bilancio?
"Detrazioni fiscali, trasferimenti alle imprese, contributi vari che lo stato dà e non sono prioritari. Lì si può tagliare. Bisogna ripartire da quel lavoro, e da quello fatto poi da Perotti, e aggiornarlo per i tre anni che sono trascorsi".
Beni e servizi?
"Anche".
Ci si è battuti per avere un unico ente appaltante: anche la Consip tuttavia è incappata in qualche guaio.
"L'idea di ridurre le stazioni appaltanti resta giusta. Anzi il fatto che siano venute a galla alcune questioni (vedremo poi che dice la magistratura), dimostra che è più facile controllare pochi centri di appalto che 34 mila come erano fino a poco tempo fa. L'architettura della riforma degli acquisti iniziata nel 2014 funziona".
Lei sostiene che con il raggiungimento del pareggio di bilancio la strada per la riduzione del debito è in discesa. C'è chi dice che non sia sufficiente e serva la patrimoniale...
"No. Ma non perché sono contrario ideologicamente, ma perché è di non facile implementazione. Per servire deve essere una tantum e definitiva, dunque molto forte. Ma se è molto forte rischia di creare al Paese grossi problemi di liquidità: pensi a chi ha un paio di appartamenti ma niente in banca".
C'è chi spera nella mutualizzazione del debito a livello europeo.
"Non arriverà mai. Germania e Finlandia non diranno mai sì. Neanche qui negli Stati Uniti, dove è stata raggiunta un'unione politica il debito della California è messo in comune con quello federale ".
Altri propongono di mettere insieme i beni dello Stato in una società e poi emettere titoli speciali.
"Io penso che la strada giusta sia quella di privatizzare le società di Stato e il Def prevede entrate dello 0,3 per cento di Pil nei prossimi anni. Non può venire da qui la soluzione al problema del debito italiano, ma comunque aiuta la discesa del debito".
Ci sarebbe la lotta all'evasione.
"È una riforma strutturale, aiuterebbe il debito e la concorrenza. Il fenomeno è molto più alto di quanto si pensa: la Commissione Giovannini calcola 110 miliardi, ma la base su cui rileva il mancato gettito non include i contributi degli autonomi e diverse imposte indirette. Includendo queste si può arrivare a una cifra di circa 150 miliardi".