Cronaca

Alexandra D'Onofrio, la compagna di Del Grande: "Niente Siria, lui voleva solo incontrare i profughi"

L'antropologa e regista racconta la prima e per ora unica telefonata con il giornalista e documentarista toscano fermato il 9 aprile dalle autorità turche

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"GABRIELE ci ha chiamato martedì, dopo 9 giorni di silenzio. Era arrabbiato. Chiedeva che facessimo qualcosa. Chiuso in una cella di isolamento, senza avvocato, senza un'accusa. È lì che ho deciso di rompere il silenzio". Alexandra D'Onofrio, antropologa e regista, compagna di Gabriele Del Grande e madre dei suoi due bimbi di 4 e 2 anni, racconta la prima e per ora unica telefonata con il giornalista e documentarista toscano fermato il 9 aprile dalle autorità turche.

L'incubo comincia con un messaggio.
"Era la mezzanotte del 9 aprile quando mi è arrivato l'ultimo messaggio WhatsApp di Gabriele. Scriveva che le autorità turche lo avevano fermato, che forse sarebbe stato espulso".

E poi cosa è accaduto?
"È stato tenuto ad Hatay in una cella con altri prigionieri fino a giovedì 13, da venerdì è a Mugla, in isolamento, e viene interrogato quotidianamente. Non ha alcuna informazione. Rifiuta di rispondere finché non gli faranno incontrare un avvocato. Ora è in sciopero della fame. Sciopero che farò anche io e chi vorrà seguirci sulla pagina Facebook "Io sto con la sposa"".

L'avvocato e il console per ora restano fuori dal carcere.
"Sono riusciti a fargli arrivare indumenti e una carta telefonica, ma non a incontrarlo. La Farnesina sta facendo un lavoro delicatissimo. Mi hanno detto che al massimo possono trattenere per 14 giorni una persona che deve essere espulsa. Voglio crederci".

Ci può dire di più sul lavoro che stava svolgendo al confine con la Siria?
"Abbiamo girato insieme il video che ha lanciato il crowdfunding per Un partigiano mi disse, il suo nuovo progetto che ha avuto oltre 1340 sostenitori/donatori: Gabriele voleva incontrare siriani fuggiti in Turchia. Lui va zaino in spalla e chiacchiera, passa ore a parlare con le persone nella loro lingua senza mediatori, in maniera spontanea. Non va alla ricerca dello scoop, ma di quanto ci può fare riflettere. Abbiamo lavorato insieme quando i giornalisti potevano entrare nei Cie, Gabriele scriveva articoli e inchieste. Poi dal 2011 li hanno chiusi e abbiamo deciso di documentare quello che c'era intorno".

Quando è partito ha pensato che fosse pericoloso?
"Quando è andato in Siria la prima volta, nel 2011, ero in apprensione. Ma da quando abbiamo bambini, era poco interessato ad andare al fronte. Ed ora era lì al confine turco per ricostruire in un libro la memoria di quella guerra: come sono nate le prima proteste, come è stata la fuga dalla Siria... Lui si fida di me, mi avrebbe detto la verità altrimenti. Non aveva alcuna intenzione di passare il confine con la Siria. Era lì vicino e aveva trovato storie importanti. Anche alla Farnesina mi hanno spiegato che i confini non sono ben segnalati, potrebbe avere sbagliato strada. Si tratterebbe di un reato amministrativo ".

Cosa ha detto ai suoi figli?
"Niente, sanno che la mamma è molto impegnata al telefono perché stiamo preparando una grande festa per il ritorno del papà. Uno ha 4 anni e mezzo, l'altro 2, sono piccoli, ma chiedono del padre e sentono la tensione".