Politica

Dio salvi il Parlamento

L'attacco agli spazi di libertà e i doveri della democrazia

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PRIMA i morti per strada, innocenti perché convinti di vivere in tempo di pace e in terra di democrazia. Ma subito dietro, la sagoma di un parlamento. Del parlamento, il primo al mondo, quello che nell'immagine simbolica racchiude l'idea universale dell'istituzione centrale della modernità democratica. Il primo ministro evacuato dalla scorta come nei brutti film, i deputati e i lord stesi sul pavimento dell'aula, il timore di un assalto organizzato, i poliziotti che sparano, il viceministro degli Esteri con le mani sporche di sangue che soccorre l'agente accoltellato. Tutto questo a Westminster, lo scenario mondiale d'eccellenza per lo spettacolo tragico della democrazia sotto attacco.

Non scelgono per caso. Dopo aver trasformato la loro religione in un'ideologia primitiva di morte, sono ipnotizzati dai riti della nostra religione civile, nell'ambito pubblico e nello spazio privato, dal calendario gregoriano, dagli anniversari repubblicani. Ciò che unisce tutto questo insieme di simboli trasformato in cabala è esattamente ciò che vogliono colpire, la loro ossessione e il loro bersaglio.

E' l'esercizio occidentale della libertà quotidiana, individuale e collettiva, il sistema di garanzie reciproche, e di riconoscimento, che ci scambiamo vivendo dentro un meccanismo abituale di regola democratica, che consente di combinare la nostra esistenza e le sue pretese con quelle altrui, la grandiosa banalità ordinaria della democrazia - non so definirla altrimenti - quando diventa obbligazione reciproca praticata ogni giorno, condivisa e liberamente accettata. È questo spettacolo ordinario della democrazia che li scandalizza attirandoli fino alla morte, proprio perché è la vita dentro la libertà, in un orizzonte di bene comune di cui siamo ogni giorno traditori infedeli, e tuttavia testimoni inevitabili.

Se si ragiona così - e loro ragionano così - si capisce cosa unisce il perimetro dei loro attacchi. Le due torri, un treno o un metrò, una scuola ebraica, un caffè, una sala da ballo, uno stadio, un aeroporto, un museo, una passeggiata davanti al mare e infine un parlamento, somma e spiegazione di tutto. I rituali, i luoghi, i mezzi attraverso i quali organizziamo il nostro tempo di lavoro e il nostro spazio libero, gli affari e lo studio, gli incontri e la politica, la musica e gli amici, gli amori e la discussione. La democrazia che si fa " cosa", acquista una materialità riconoscibile e nello stesso tempo diventa quasi un'abitudine, scompare come valore ai nostri occhi perché ci sembra un fenomeno naturale, una consuetudine illimitata come una risorsa spontanea regolarmente a nostra disposizione.

Qui sta l'enorme ricchezza dell'Occidente che in questo dopoguerra ha saputo trasformare la democrazia in costume, pratica abituale, forma politica di una civiltà. E sta la nostra debolezza, perché ci dimentichiamo che la regola democratica comunemente accettata, praticata e condivisa non è un dono di natura o una concessione divina ma una conquista faticosa di uomini e donne, un portato della storia per difenderci dagli orrori scatenati proprio qui un secolo fa, una correzione rispetto all'uso ideologico, criminale e totalitario degli studi e delle risorse tecnologiche, cioè del progresso. Dunque qualcosa che non è garantito, perché non è conquistato per sempre. Quindi qualcosa che dobbiamo difendere, proprio perché le democrazie hanno il dovere di garantire la sicurezza e la libertà dei cittadini, con un vincolo in più: devono farlo rimanendo se stesse, cioè senza tradire i loro valori e i loro principi. Ma devono farlo, e troppo spesso non ne siamo consapevoli.

Vediamo così che la parola democrazia obbliga terribilmente. Prima di tutto obbliga a sapere ciò che accade, poi a conoscere i nostri doveri, quindi a distinguere, e a non fare di ogni erba un fascio. La democrazia funziona male, ma è il metodo sovrano che ci siamo scelti e che più garantisce la nostra libertà. Il parlamento è spesso inefficiente, e addirittura deludente come legislatore, come controllore, come rappresentante: e tuttavia è lo strumento che ha insediato la nazione sul trono del monarca, ha sostituito il conflitto privato con la discussione pubblica, ha dato un orizzonte generale agli interessi legittimi di parte, ha rimpiazzato la legge della forza con la regola della maggioranza. Questo è il moderno segreto della sacralità eterna dei parlamenti, al di là delle contingenze miserabili delle vicende politiche, delle nostre infedeltà quotidiane di cittadini, del tradimento dei leader.

Di questa sacralità ci stiamo spogliando, gettando via la politica insieme con la cattiva politica, come se soltanto l'antipolitica avesse legittimità, e dunque futuro. Non si tratta di rinunciare alla denuncia e alla radicalità dell'opposizione, che spesso rappresentano un'opinione pubblica indifesa, impaurita perché infragilita e comunque diffusa. Si tratta di distinguere tra l'opposizione al sistema e l'opposizione a un cattivo uso del sistema. Perché l'inganno più tragico del popolo è la sostituzione del parlamento con la piazza. Quando la trasparenza arranca in aula, quando la democrazia stessa s'impantana, ecco i populisti cercare il processo in strada, quasi evocando un tribunale popolare, come se l'aula dovesse essere scoperchiata perché dentro tutto è obliquo, sporco, occulto e solo l'urlo della folla può fare giustizia sommaria, soppiantando il parlamento col pronunciamento, la rappresentanza con la rappresentazione: in un'evidente impostura politica, più grave di quelle che vengono denunciate. Anche in anni di bassa marea politica, infatti, il parlamento non è un simulacro vuoto. A Westminster la regina lo sa, e per questo deve bussare tre volte alla porta dei Comuni con la corona già in testa, prima di poter pronunciare il suo discorso. Da noi troverebbe l'aula semivuota, con i leghisti sull'Aventino con felpa e ruspe, e i grillini in piazza, ad arringare i forconi. Forse è il momento di aggiornare l'invocazione: " Dio salvi il parlamento " .
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