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Rigopiano un mese dopo: perché la tragedia si poteva evitare

Il 18 gennaio 2017 una valanga di 120 mila tonnellate di neve e detriti si è abbattuta sull'hotel, uccidendo 29 persone. Repubblica ricostruisce gli eventi attraverso testimonianze e documenti esclusivi

26 minuti di lettura

I protagonisti

Fabio Salzetta

Fabio Salzetta

Il manutentore

Diploma di geometra all’istituto Marconi di Penne, 26 anni, lavorava al Rigopiano dal 2014. Si è salvato rifugiandosi in auto con Giampiero Parete. Nella tragedia, ha perso la sorella Linda, anche lei dipendente dell’hotel

Fabio Salzetta

Il manutentore

Diploma di geometra all’istituto Marconi di Penne, 26 anni, lavorava al Rigopiano dal 2014. Si è salvato rifugiandosi in auto con Giampiero Parete. Nella tragedia, ha perso la sorella Linda, anche lei dipendente dell’hotel

Sabatino Di Donato

Sabatino Di Donato

L’autista

Uno dei due autisti della turbina scelti dall’Anas per guidare il mezzo nelle operazioni di soccorso. Sale verso l’Hotel Rigopiano macinando circa 700 metri l’ora, spalando 9 chilometri di strada innevata

Sabatino Di Donato

L’autista

Uno dei due autisti della turbina scelti dall’Anas per guidare il mezzo nelle operazioni di soccorso. Sale verso l’Hotel Rigopiano macinando circa 700 metri l’ora, spalando 9 chilometri di strada innevata

Giampaolo Matrone

Giampaolo Matrone

Il sopravvissuto

Pasticciere di Monterotondo, 33 anni, era in vacanza con la fidanzata, Valentina Cicioni, infermiera al Gemelli di Roma, morta nella tragedia. I due hanno una figlia di 5 anni, che in quei giorni era rimasta con i nonni

Giampaolo Matrone

Il sopravvissuto

Pasticciere di Monterotondo, 33 anni, era in vacanza con la fidanzata, Valentina Cicioni, infermiera al Gemelli di Roma, morta nella tragedia. I due hanno una figlia di 5 anni, che in quei giorni era rimasta con i nonni

Pasquale Iannetti

Pasquale Iannetti

La guida alpina

Guida alpina, 68 anni, ex membro della Commissione valanghe del Comune di Farindola, già nel 1999 lanciò l’allarme sul pericolo slavine nella zona. Il suo report è datato 18 marzo 1999

Pasquale Iannetti

La guida alpina

Guida alpina, 68 anni, ex membro della Commissione valanghe del Comune di Farindola, già nel 1999 lanciò l’allarme sul pericolo slavine nella zona. Il suo report è datato 18 marzo 1999

Giampiero Parete

Giampiero Parete

Il sopravvissuto

38 anni, cuoco di Montesilvano. Era in vacanza con la moglie e i due figli. È il primo a dare l’allarme via WhatsApp. È riuscito ad evitare l’impatto con la slavina perché era uscito a prendere una medicina per la moglie

Giampiero Parete

Il sopravvissuto

38 anni, cuoco di Montesilvano. Era in vacanza con la moglie e i due figli. È il primo a dare l’allarme via WhatsApp. È riuscito ad evitare l’impatto con la slavina perché era uscito a prendere una medicina per la moglie

Francesca Bronzi

Francesca Bronzi

La sopravvissuta

Laureata in Scienze motorie, 25 anni, di Montesilvano, in provincia di Pescara. Il suo ragazzo, Stefano Feniello, 29 anni, morto nella tragedia, le aveva regalato un weekend romantico di vacanza all’Hotel Rigopiano

Francesca Bronzi

La sopravvissuta

Laureata in Scienze motorie, 25 anni, di Montesilvano, in provincia di Pescara. Il suo ragazzo, Stefano Feniello, 29 anni, morto nella tragedia, le aveva regalato un weekend romantico di vacanza all’Hotel Rigopiano

Bruno Di Tommaso

Bruno Di Tommaso

Il direttore

Dopo l’allarme di Parete, i soccorritori si mettono in contatto con lui. Smentisce qualsiasi crollo: in quel momento però Di Tommaso era a Pescara e non sapeva che il suo hotel era stato sommerso

Bruno Di Tommaso

Il direttore

Dopo l’allarme di Parete, i soccorritori si mettono in contatto con lui. Smentisce qualsiasi crollo: in quel momento però Di Tommaso era a Pescara e non sapeva che il suo hotel era stato sommerso

Edoardo Di Carlo

Edoardo Di Carlo

Il sopravvissuto

Edoardo, 8 anni, nella tragedia ha perso i genitori, Nadia Acconciamessa e Sebastiano Di Carlo. Assieme a Samuel e Ludovica, altri due bambini sopravvissuti, è rimasto quasi 48 ore sotto le macerie

Edoardo Di Carlo

Il sopravvissuto

Edoardo, 8 anni, nella tragedia ha perso i genitori, Nadia Acconciamessa e Sebastiano Di Carlo. Assieme a Samuel e Ludovica, altri due bambini sopravvissuti, è rimasto quasi 48 ore sotto le macerie

Lorenzo Gagliardi

Lorenzo Gagliardi

Il soccorritore

Maresciallo, 48 anni, è stato il primo a raggiungere l’hotel alle 4 di notte, sugli sci, con il suo gruppo di alpinisti finanzieri di Roccaraso. Dal 2008 comanda la stazione del soccorso alpino della Guardia di Finanza di Roccaraso

Lorenzo Gagliardi

Il soccorritore

Maresciallo, 48 anni, è stato il primo a raggiungere l’hotel alle 4 di notte, sugli sci, con il suo gruppo di alpinisti finanzieri di Roccaraso. Dal 2008 comanda la stazione del soccorso alpino della Guardia di Finanza di Roccaraso

Giorgia Galassi

Giorgia Galassi

La sopravvissuta

22 anni, studentessa di Scienze della Comunicazione a Teramo, in vacanza al Rigopiano assieme al fidanzato Vincenzo Forti, anche lui sopravvissuto. Sono rimasti 58 ore al buio in una “bolla d’aria”

Giorgia Galassi

La sopravvissuta

22 anni, studentessa di Scienze della Comunicazione a Teramo, in vacanza al Rigopiano assieme al fidanzato Vincenzo Forti, anche lui sopravvissuto. Sono rimasti 58 ore al buio in una “bolla d’aria”

Ilario Lacchetta

Ilario Lacchetta

Il sindaco

30 anni, ingegnere, sindaco di Farindola. Nei giorni successivi, si era difeso: “Il Comune non ha mai ricevuto l’allarme valanghe. Solo il bollettino della Protezione Civile sull’arrivo di una forte nevicata”.

Ilario Lacchetta

Il sindaco

30 anni, ingegnere, sindaco di Farindola. Nei giorni successivi, si era difeso: “Il Comune non ha mai ricevuto l’allarme valanghe. Solo il bollettino della Protezione Civile sull’arrivo di una forte nevicata”.

Francesco Provolo

Francesco Provolo

Il prefetto

62 anni, sposato e con tre figli, si era insediato alla Prefettura di Pescara pochi giorni prima della valanga sul Rigopiano. Originario di Ottaviano (Napoli), arrivava dalla Prefettura di Rovigo, dove aveva lavorato dal 2012

Francesco Provolo

Il prefetto

62 anni, sposato e con tre figli, si era insediato alla Prefettura di Pescara pochi giorni prima della valanga sul Rigopiano. Originario di Ottaviano (Napoli), arrivava dalla Prefettura di Rovigo, dove aveva lavorato dal 2012


Prologo

Le guide alpine camminano, sorvegliano, soccorrono. Hanno mani abituate a fare. Scrivere è un’altra cosa. Pasquale Iannetti è seduto davanti al computer e cerca le parole per dirlo. Quello che ha visto non gli piace. Batte i tasti con un solo dito per riassumere il suo sopralluogo. Ha volato in elicottero sulla cresta del Monte Siella, a 2.027 metri. Con lui Antonio Crocetta, responsabile del Soccorso Alpino, entrambi in missione per conto della Commissione valanghe di Farindola, un paese nel cuore dell’Abruzzo. Hanno sorvolato il canalone che taglia il versante e finisce sopra l’albergo Rigopiano, chiamato ancora “Il Rifugio” come negli anni Cinquanta, quando era del Comune. Poi nel 1967 l’ha comprato Ermanno Del Rosso e ne ha fatto un hotel. Fallito nel 1997 e, da allora, chiuso. A nemmeno cento metri, sulla destra, c’è il vero rifugio, il Tito Acerbo.
Pasquale Iannetti, 68 anni, guida alpina. 
«Al signor sindaco del Comune di Farindola, e per conoscenza al Corpo nazionale del soccorso alpino di Penne». Digita con lentezza. Iannetti ha 51 anni, studia sentieri e slavine da quando ne aveva 18. È un uomo di montagna, non un ragioniere. «Ho preso parte al sopralluogo il giorno 12 marzo. In merito alla possibilità di caduta di masse nevose, slavine o valanghe, nell’area di Rigopiano, non v’è dubbio che sia il piazzale antistante al rifugio Acerbo sia la strada provinciale che porta a Vado di Sole possono essere interessate dal fenomeno». Non basta. «Ci sarebbero rilevanti accumuli nella fascia di carico a quota 1.800 metri, pertanto, se le condizioni della temperatura dovessero cambiare rapidamente verso valori elevati, la neve in accumulo scivolerà a valle interessando le zone sottostanti. Vero è che si ha memoria di un fenomeno rilevante risalente al 1959, ciò non deve essere considerato un fatto che non si possa ripetere». Il passato insegna, se si è capaci di capire la lezione. «Per uno studio approfondito il Comune di Farindola dovrebbe investire le amministrazioni provinciali di Pescara e Teramo e l’Ente Parco Gran Sasso. Con questi dati la Commissione valanghe potrà fornire indicazioni certe perché per il futuro si possa garantire la sicurezza delle infrastrutture alberghiere, delle strade e dei parcheggi nella località di Rigopiano».
L'Hotel Rigopiano quando era ancora un piccolo rifugio 
A convincerlo della minaccia sono stati due incontri casuali durante il sopralluogo. Un pastore locale, spaventato da alcune piccole valanghe che ha visto venire giù dal canalone del Siella, gli ha fatto una confidenza: almeno fino a primavera impedirà al suo gregge di attraversare quell’imbuto di roccia e neve. Pure un tagliaboschi gli ha raccontato di “alcune piccole valanghe”: al minimo variare della temperatura la neve frana, corre per almeno 400 metri e va a frantumarsi contro il faggeto, alle spalle dell’albergo chiuso. La natura parla, ha i suoi modi per farsi capire, anche quando balbetta. La guida alpina Pasquale Iannetti stampa la sua relazione. La firma. La spedisce ai destinatari. È il 18 marzo 1999.

Premonizioni

Di come quaranta persone rimangono prigioniere di un resort quattro stelle, e dell’ammutinamento che ne segue

Mercoledì 18 gennaio ha nevicato per tutta la notte, e Francesca Bronzi e Stefano Feniello si sono svegliati troppo presto. Non sono nemmeno le otto e già girano per la stanza, la 303. Le luci sono accese, è mattina ma non sembra. Il cielo è una cappa. Sta ancora nevicando. Il termometro segna sei gradi sotto zero. Li hanno messi nella “Alcyone”, una delle più confortevoli tra le 45 camere dell’Hotel Rigopiano. È al terzo piano, non è spaziosa come la “Suite Duse” né come la “ Suite D’Annunzio” che ha i letti originali dell’Ottocento e il caminetto, ma è appartata, lontano dai rumori della hall. Stefano, 29 anni, ha voluto fare una sorpresa alla sua ragazza: una vacanza nel resort quattro stelle alle pendici del Gran Sasso di cui tutti parlano. Milleduecento metri sul livello del mare, spa e piscina con un panorama che spazia fino al mare Adriatico.Dovevano salire già lunedì, il 16 gennaio, ma proprio quel giorno è cominciata la bufera; i tg regionali trasmettevano immagini di auto ferme in coda sotto la neve. Stefano e la sua Francesca, che di anni ne ha 25, stavano per rinunciare. Poi però martedì mattina hanno ricevuto una mail della direzione dell’albergo. «Negli ultimi chilometri prima di raggiungere la struttura potreste incontrare ghiaccio o neve, nonostante la strada sia costantemente pulita. Vi è l’obbligo di almeno due gomme termiche e catene a bordo » . C’è una sola strada, la provinciale che sale da Farindola, nove chilometri di tornanti e strettoie in mezzo al bosco. « È l’unica che la Provincia garantisce essere sempre aperta e pulita, anche nei periodi di forti nevicate».

Arrivare è stato più difficile di quanto la mail lasciasse intendere. Un agente della polizia locale, Elvio Piscione, li ha bloccati poco dopo il bivio di Mirri, sul piazzale del ristorante Lu Strego, e li ha tenuti lì per un’ora. «Dovete aspettare che gli spazzaneve riscendano». C’erano altre sette macchine in colonna, tutte di clienti del Rigopiano. Dal sedile posteriore, due bambini salutavano con la mano e sorridevano. Alle 17.30 l’agente li ha fatti passare, scortandoli per un lungo tratto con l’auto di servizio. Poco prima dell’arrivo, in mezzo a tutto quel bianco è apparso un uomo nero a bordo di un bobcat, un piccolo caterpillar in dotazione all’hotel. È sceso dal parcheggio fin sulla provinciale, con fatica ha aperto un varco tra i cumuli per consentire al gruppo di raggiungere la reception, poi non si è più visto.

Stefano e Francesca non sono gli unici ad aver dormito male. Alle 8.30 nella sala ristorante, al piano terra, 29 persone finiscono la colazione sedute ai tavoli. Sono tutti gli ospiti dell’albergo. Alle pareti quadri di un certo pregio; l’illuminazione a led, sotto il soffitto a cassettoni, esalta il buffet: cornetti caldi, frutta, yogurt, torte al mirtillo. Caffè. Giampaolo Matrone, pasticciere di Monterotondo, non ha ancora sbollito la rabbia della sera prima. Continua a ripetere a Valentina, la sua fidanzata, che la direzione non doveva farli salire. « Con questo tempo? Sono degli incoscienti. Ora siamo bloccati». Sulla provinciale 8, quella “ sempre aperta e pulita”, si è accumulato un metro e mezzo di neve. Faye Dame ha provato fino a notte fonda, con il suo bobcat, a tenere puliti almeno il parcheggio e il vialetto esterno. È un senegalese di 43 anni, alto, corpulento, arrivato in Italia nel 2009. Ha un regolare permesso di soggiorno. Vive a Torino ma nel 2015 è stato assunto dall’Hotel Rigopiano come factotum. Ha lavorato sodo, ma per niente: la tormenta è troppo forte, le macchine sono di nuovo sepolte. Il cancello dell’ingresso non si vede nemmeno più. Nessuno può andarsene. Nessuno può arrivare. Una trappola.

Il nervosismo sta contagiando tutti. Anche chi nel resort lavora da tanto tempo e ha già vissuto una situazione del genere. Due anni fa in venti rimasero isolati per una tempesta che durò molte ore. Ci volle un elicottero dei Vigili del fuoco per portare omogeneizzati, pannolini e paracetamolo a due bambini, e ci volle una turbina spazzaneve per liberare “i prigionieri”. Si è già vista una cosa così, a Rigopiano.


Eppure stavolta è diverso. Il maître Alessandro Giancaterino, 42 anni, è il più irrequieto. Ha finito il suo turno, e non intende rimanere un secondo in più. Si agita, alza la voce. Vuole scappare. Nessuno capisce da cosa, ma vuole scappare. Subito. Insiste con Faye perché liberi dalla neve la sua Alfa Romeo. Supplica di chiamare qualcuno, a Pescara, per far arrivare lo spazzaneve. Non vuole aspettare quello della Provincia, che di solito passa nel primo pomeriggio. I telefoni sono muti, l’unico modo di comunicare col resto del mondo è attraverso WhatsApp perché il sistema wi-fi nonostante tutto continua a funzionare. Manca anche la corrente, ma questo gli ospiti non lo sanno. È saltata nella notte tra il 16 e il 17, come del resto in metà Abruzzo. L’hotel però è illuminato. Nel vano tecnico, a pochi metri dal corpo principale della struttura, lavorano a pieno regime un generatore a benzina, quasi a secco, e una caldaia a pellet.

Dei quaranta presenti al Rigopiano, c’è un solo uomo che sa tutto, e dall’alba si aggira tra la hall e la reception con un cellulare in mano. È Roberto Del Rosso, il “padrone”. In realtà, dopo il fallimento della sua società, la proprietà è intestata a una spa di Treviso, la “A Real Estate”: come direttore è stato messo suo nipote Bruno Di Tommaso, nominato amministratore unico della “Gran Sasso Resort”. Ma per tutti Roberto è ancora il titolare, nonostante figuri come dipendente: nipote di  quell’Ermanno Del Rosso che negli anni Sessanta comprò dal Comune il vecchio rifugio Roberto sa qual è la situazione. E sa che gli sta sfuggendo di mano. Da ore chatta con Bruno, che si trova a Pescara. Lo ha svegliato con un messaggio su WhatsApp alle 7 in punto. « Siamo isolati » . Gli ha mandato una foto scattata all’esterno. «Mia moglie ha contattato un funzionario della Provincia, ci vuole un intervento urgente sulla strada».

Le colazioni sono finite, i camerieri mettono in ordine la sala. Sul telefono del “padrone” arriva una chiamata WhatsApp dalla Prefettura, sollecitata dall’ansia del maître Giancaterino che è riuscito ad avvertire qualcuno. Del Rosso rassicura che è tutto a posto. Sì, sta ancora nevicando, e tanto, ma tutto sommato non ci sono problemi particolari. No, nessuna emergenza. Grazie per l’interessamento, arrivederci. Il cameriere Gabriele D’Angelo origlia la conversazione, precipita nello sconforto.  L’hotel adesso sembra un alveare caduto da un albero. I clienti, le api. La botta è stata forte, i mobili si sono spostati, le assi di legno dei pavimenti e dei soffitti hanno scricchiolato. L’agenzia Ansa scrive: «Scossa in centro Italia, avvertita anche a Roma». Magnitudo 5.3, epicentro a Capitignano, sulle montagne dell’Aquila, a poche decine di chilometri dall’hotel. Ad Amatrice è crollato un altro pezzo dell’Istituto Alberghiero. Sono le 10.25.

Nel piazzale del resort Adriana sta tirando palle di neve ai suoi figli Ludovica e Gianfilippo, quando la terra si mette a tremare. Nuvola e Lupo, i due pastori abruzzesi del “padrone”, abbaiano furiosamente. Il marito di Adriana Vranceanu, Giampiero Parete, corre dentro a parlare con gli altri clienti spaventati. «Bisogna andarsene». «Sì, ma come?». «Scendiamo a piedi a Farindola». «Serve lo spazzaneve». «Lo spazzaneve non ce la fa, ci vuole un mezzo più grande». «Chiamate lo spazzaneve ». I nervi sono saltati, le impressioni si confondono. Al piano seminterrato, nella spa, tra le pareti in vetro, la palestra, le piscine con l’acqua calda e le docce emozionali per la cromoterapia, gli ospiti si alzano di scatto dai lettini e intasano l’unica via d’uscita: l’ascensore. Ci sarebbe anche una porta che si apre sull’esterno spingendo il “maniglione”, ma è sbarrata dalla neve. Francesca da quell’ascensore si tiene lontana. «Durante terremoti e incendi è pericoloso, non va preso mai».

La nuova scossa delle 11.14 è ancora più forte, magnitudo 5.4. Stefano trascina lei e la sua paura nell’ascensore. Salgono al terzo piano, entrano nella 303 e buttano nella valigia i pochi abiti usati in quella manciata di ore. È il panico. Gli ospiti si ammassano nella hall per affrettare il check-out. Vogliono andare via. Non possono. Pretendono da Del Rosso risposte che lui non ha, né può avere. È quasi mezzogiorno. Il “padrone” ha appena scritto su WhatsApp a sua sorella Rossella, che si trova a Pescara: corri a chiedere aiuto ad Antonio Di Marco, il presidente della Provincia. La strada è una provinciale, dopotutto è competenza loro. A Bruno, il nipote-direttore, dà invece un altro incarico. «Chiama il comandante Albano dei carabinieri di Penne, qui la situazione si è fatta seria».

Del Rosso sa fin troppo bene che non c’è modo di lasciare il resort, almeno fino a quando non manderanno lo spazzaneve. Cosa che dovrebbe avvenire intorno alle 15, se nel frattempo non sarà scesa troppa neve. Ordina di offrire un pranzo a buffet, per dare una parvenza di normalità e stemperare la tensione, ma ormai è un muro contro muro: da una parte lui, dall’altra i clienti - con molti dipendenti come alleati che non si fidano più. Uno degli ospiti, un signore alto e magro coi capelli scuri, viene nominato portavoce. Condurrà lui le trattative con la direzione. Perché sono le due del pomeriggio e all’Hotel Rigopiano è in corso un ammutinamento. Il portavoce raduna tutti nella sala biliardo, uno stanzone seminterrato da cui si accede dal bar. Dice di aver appreso che la direzione ha inviato una mail al prefetto, alla Provincia, alla polizia locale e al sindaco di Farindola. Una comunicazione urgente, su posta certificata e in stile burocratico. «I clienti sono terrorizzati dalle scosse sismiche, sono disposti a trascorrere la notte in macchina. Consapevoli delle difficoltà generali, chiediamo un intervento al riguardo».
 L'email dell'albergo ai clienti e quella inviata per chiedere aiuto alla Prefettura di Pescara (gli originali negli approfondimenti a pie' di pagina) 
A questo punto si tratta di stare pronti con le macchine. Per tutta la mattina Faye Dame e Fabio Salzetta, un ventiseienne di Penne assunto come manutentore, hanno tenuto pulito il parcheggio e il vialetto. Gli uomini escono, con le pale liberano le ruote e i parabrezza delle loro auto, caricano i bagagli e le incolonnano sul vialetto. Lasciano i motori accesi.
La mail inviata alle 13.47 avrebbe potuto essere decisiva, ma non lo sarà. Nessuno dei destinatari la legge. Nessuno si fa vivo. Del Rosso sbraita. «Appena finisce questa storia, denuncerò questi signori per i ritardi e le mancate risposte». Prende il cellulare, scrive a Bruno. «La situazione è ormai degenerata, i clienti sono allarmatissimi. Avverti le autorità». La quarta scossa di terremoto, l’ultima, colpisce alle 14.30, ed è un cazzotto sul sistema nervoso dei quaranta del Rigopiano.

Ora tutti si accalcano istericamente sotto i soffitti di legno del porticato. Qualcuno rimane nella hall, vicino alle valigie fatte e all’ingresso. L’illusione di essere accanto a una via di fuga. Passando per la sala lettura, si arriva al bar: un locale di 39 metri quadrati, 2 metri e 60 dal pavimento al soffitto. È diviso da un caminetto a doppia facciata. Da lì si accede anche alla sala biliardo. Seduto al bancone c’è Matrone, il pasticciere,  che ormai bestemmia senza ritegno. Inveisce contro la direzione e contro chi gli ha permesso di tenere aperto l’albergo. Salzetta, Giancaterino, D’Angelo e Dame sono usciti per caricare il pellet nella caldaia. Adriana tiene Gianfilippo in braccio, non riesce ad alzarsi. Chiede a suo marito un favore. «Giampiero, vammi a prendere le pasticche in macchina». Dalla sala biliardo, arriva il vociare allegro di Ludovica, Edoardo e Samuel che giocano a fare i grandi attorno al tavolo verde. Francesca sprofonda su una delle due poltrone davanti al camino. Il suo Stefano si accomoda accanto a lei. Sul divano di vimini alla loro sinistra siedono due ragazzi di Giulianova che si contendono una coperta di lana: Giorgia Galassi e Vincenzo Forti. A Giorgia scappa un sorriso, perché Vincenzo ha dovuto indossare i suoi leggings, dopo aver infradiciato i pantaloni nella neve su al parcheggio. Ordinano un tè. Almeno qui, pensa Francesca, siamo al sicuro.

L'allarme nel cassetto

Dove si spiega come tutti abbiano sottovalutato il rischio valanghe, e perché tre enti dello Stato non riescano a trovare la turbina spazzaneve

Turbina dell'Anas, utilizzata per liberare la strada che portava all'Hotel Rigopiano.
  
«L’avete sentita?». Il prefetto di Pescara Francesco Provolo si volta di scatto verso il questore, Francesco Misiti. «Questa era proprio forte, questa ha fatto i danni veri...». La scossa ammutolisce il tavolo del Comitato per l’ordine e la sicurezza, convocato da Provolo per fronteggiare l’emergenza. Dal 16 gennaio, la combinazione tra terremoto e maltempo ha gettato la provincia sull’orlo del collasso: tra sfollati e black out, sembra una zona di guerra. Al tavolo sono presenti il sindaco di Pescara, una consigliera provinciale, i rappresentanti dell’Enel, della Regione e delle forze dell’ordine. Il prefetto prende la prima decisione della giornata. «Da adesso in poi comando io». Scendono al piano terra del palazzo, al civico 30 di piazza Italia. La sala operativa della Protezione civile diventa Centro di Coordinamento dei soccorsi, l’unità di crisi agli ordini di Provolo. Sono da poco passate le 10.25, e dell’Hotel Rigopiano nessuno si preoccupa, proprio come nei giorni precedenti.

Il bollettino Meteomont diffuso alle 14 di lunedì è passato nel silenzio. Prevedeva che il rischio valanghe nella zona “Laga Gran Sasso Terminillo”, quella di Farindola e Rigopiano, sarebbe salito da 3 a 4, su una scala di 5, nell’arco di ventiquattrore. «Il distacco è probabile già con debole sovraccarico su molti pendii ripidi. In alcune situazioni sono da aspettarsi molte valanghe spontanee di media grandezza e talvolta anche grandi valanghe». Si è perso nel nulla anche il bollettino del martedì, che stavolta conteneva i dati raccolti manualmente da un tecnico proprio presso la stazione di Rigopiano, a 1.135 metri di quota: indicava 51 centimetri di neve caduta in 24 ore. «Strati di neve fresca asciutta a debole coesione su strati debolmente consolidati. Il manto nevoso è instabile su tutti i pendii ripidi». Un pendio ripido, l’Hotel Rigopiano, ce l’ha proprio sulla testa. Il canalone del Monte Siella. Lassù la pendenza supera i 45 gradi. Per innescare una valanga ne bastano 30.
L’uomo che avrebbe potuto ordinare l’evacuazione del resort già dalle 14 di lunedì non sa niente di tutto questo. I bollettini Meteomont sono rimasti nei cassetti della Prefettura di Pescara e del Centro funzionale della Regione Abruzzo. Incagliati in un rimpallo di responsabilità su chi, tra i due enti, debba trasmetterli ai comuni. Ilario Lacchetta, il primo cittadino di Farindola che di mestiere fa l’ingegnere e l’hanno eletto sindaco nel 2014 a 28 anni, non li riceve più dal 2015. I bollettini sono pubblicati anche sul sito Meteomont.gov.it, ma Lacchetta non li ha potuti consultare nemmeno lì. Per un motivo banale: a Farindola manca la corrente da un giorno e il telefonino aggancia il segnale Gsm solo dalle parti del bivio di Montebello di Bertona. Lontano dal municipio. Va detto che anche se li avesse ricevuti o fosse riuscito a stamparli da Internet, Lacchetta di quei bollettini non saprebbe cosa farsene. Sono dodici anni che l’amministrazione non convoca la Commissione valanghe, e senza di quella, non si possono valutare le condizioni della neve e il rischio nei singoli pendii del territorio.

Non ci vuole però una guida alpina per capire che Farindola è sull’orlo della paralisi a causa del terremoto e del blackout.  Così alle 12.59 Lacchetta sale sulla Fiat del Comune, raggiunge il bivio “illuminato” dal Gsm, e da lì riesce a mandare un sms collettivo di allarme. Tra i destinatari, il presidente della Regione Luciano D’Alfonso e quello della Provincia Di Marco. «Abbiamo bisogno di aiuto, tutto il territorio è senza energia elettrica e rete telefonica, tutte le contrade al di sopra dei 500 metri sono completamente isolate, ci sono bambini piccoli ed anziani, abbiamo bisogno di mezzi adatti per questa neve. Per favore fate presto». All’ora di pranzo, il resort non è nemmeno una pratica aperta per chi sta organizzando i soccorsi.  

All’unità di crisi della Prefettura il nome Rigopiano lo associano solo a un fatto, che niente c’entra con l’albergo e i suoi 40 prigionieri. Il terremoto ha devastato la stalla della fattoria di Pietropaolo Martinelli, l’imprenditore che produce il formaggio pecorino “Farindola”, un’eccellenza della gastronomia locale. Trecento pecore sono rimaste incastrate sotto le tettoie, e Martinelli sta ancora aspettando che qualcuno lo aiuti a tirarle fuori. Il sindaco Lacchetta però non è andato invano fino a quel bivio. A Pescara, dopo il suo sms, si sono convinti che si debba mandare al più  presto a Farindola una turbina spazzaneve. Un mezzo che tre enti - Provincia, Prefettura e Regione - non riescono a trovare, nonostante ce ne sia uno dell’Anas, un bestione da 500 cavalli modello “Fresia”, impegnato proprio sulla statale 81 di Penne, a pochi chilometri da Farindola. La Provincia avrebbe un camioncino Unimog, che d’estate taglia l’erba e d’inverno monta una fresa mobile, ma dal 7 gennaio è fermo in officina perché non sono stati stanziati i 25.000 euro per ripararlo.
Il percorso che avrebbe dovuto fare la turbina dell'Anas dimenticata a Penne 
Schiacciato tra l’emergenza e l’assenza di mezzi, il presidente Di Marco gioca una carta estrema. Scrive al premier Paolo Gentiloni, alla Protezione Civile di Roma, al prefetto di Pescara. «Nel dichiarare lo stato di emergenza chiedo di avere a disposizione immediatamente mezzi turbina per liberare dalla neve le strade provinciali e comunali». Un’altra mail, come le tante inviate in questo mercoledì di sventura, che si perde nel vuoto. Da Penne al bivio Mirri di Farindola ci sono undici chilometri di strada. Da lì comincia il tratto da liberare, che prosegue per altri nove. Con la neve alta due metri, senza alberi e detriti, la Fresia dell’Anas, potrebbe aprire un varco in tre ore, se qualcuno l’avvertisse. Ma sono già le due del pomeriggio. Il tempo per l’hotel Rigopiano è già scaduto. E nessuno lo sa.

L’assassina silenziosa

Come 120.000 tonnellate di neve spostano un hotel di dieci metri con un fruscio, e come due persone si salvano per caso

Un chilometro sopra il resort, sui pratoni dell’anticima del Monte Siella, i 130 centimetri di neve fresca caduta nelle ultime ore hanno appesantito i 70 centimetri “vecchi”: una situazione pericolosa, resa ancor più instabile dalla presenza di una sottile lastra di neve a bassa coesione, proprio tra i due strati. Basta niente. Un colpo di vento. Il passaggio fugace di un animale selvatico. Ore 16.49. La massa di neve fresca si distacca dal lastrone e comincia la sua corsa, accelerata dall’inclinazione del canalone. Aumenta massa e velocità a mano a mano che avanza. Si ingrossa. Divora un intero pezzo di montagna e infine lo vomita a 100 chilometri all’ora sull’albergo. Centoventimila tonnellate di neve e detriti, la pressione esercitata da quattromila tir a pieno carico. Tra le quaranta persone del Rigopiano, nessuno la sente arrivare. Nessun boato, nemmeno una vibrazione. Fabio Salzetta sente appena un fruscio pesante, «come di neve che cade dal tetto». Poi un rumore di legno che si torce.

Si trova dentro il locale caldaia, a pochi metri dal corpo centrale dell’hotel. Si accendono le luci di emergenza, Salzetta posa a terra un sacco di pellet. È vivo per una questione di attimi e di centimetri, ma non lo sa ancora. La valanga ha investito solo di striscio quella stanza. È intrappolato. Prova ad aprire la porta ma non ci riesce. Crede che sia cascata solo un po’ di neve dal tetto, chiama i suoi tre colleghi che ha visto pochi secondi prima, là fuori, con i loro sacchi in spalla. Ma non riceve risposta. Passa un quarto d’ora, non arriva nessuno. Con un martello batte contro le inferriate della finestra. Le spacca, esce. L’albergo non c’è più.

C’è solo neve. Comincia a muoversi verso il punto dove dovrebbe esserci il vialetto che porta alla hall. Ma non vede nulla, non si orienta. Poi realizza: l’albergo è sotto i suoi piedi. Ci sta camminando sopra. Gli ospiti che sbraitavano, i suoi colleghi che cercavano di mantenere la calma. Sua sorella Linda. Sono tutti lì sotto. Linda è l’addetta alle stanze per l’hotel, li hanno assunti quasi insieme. L’ultima volta che l’ha notata, pochi minuti prima, stava dando una mano in cucina. Aveva finito il suo lavoro e così si era offerta di aiutare la cuoca. Lavava i piatti. Vallo a capire, ora, dov’è la cucina. In cielo c’è ancora un po’ di luce. Sopra l’albergo è comparsa una pista da sci che prima non c’era. È il canalone lungo il quale fino a pochi minuti prima cresceva un bosco, un faggeto secolare. I faggi sono stati sradicati e scagliati contro l’albergo, la cui unica traccia visibile, ora, è un triangolino in muratura, un pezzo della copertura. Quel tetto se lo ricorda da un’altra parte: l’hotel è stato spostato di almeno una  decina di metri dalla violenza della valanga.
Nella semioscurità della tormenta, c’è un uomo che grida. Salzetta si dirige verso quell’urlo. Lo vede. Giampiero Parete, il cuoco di Montesilvano, è piantato nella neve come un paletto, sprofondato fino al torace. Sbraccia. Sbuffa. Non riesce a venirne fuori. Non sta chiamando aiuto. Grida il nome di sua moglie. Non sa che Adriana, qualche metro di neve più sotto, sta gridando il suo. Fabio lo tira fuori di lì, gli prende il telefonino e compone i numeri d’emergenza. Nessuno risponde oppure cade la linea. Parete è ancora fuori di sé: ricorda di aver chiamato il 118, gli mostra il registro delle chiamate, ma non è in grado di ricordare se qualcuno abbia risposto. Inutile anche solo pensare di scavare con le mani. La neve è troppa e la temperatura si è alzata pericolosamente rispetto alla mattina. Un grado sopra lo zero, due. Rischiano di essere investiti da un’altra slavina. Se hanno una speranza di salvarsi, non è rimanendo in balia della tormenta. Né è possibile, in quelle condizioni, scendere a piedi fino alle case di Farindola. I due possono fare solo una cosa. La più ovvia. La fanno. Si chiudono nella Bmw di Parete, lasciano il motore acceso, accendono la radio. E telefonano.

Un enorme equivoco

Dove si racconta di come l’hotel Rigopiano è scambiato per la stalla di Martinelli da chi sta organizzando i soccorsi, e di come per questo si sono sprecate due ore

A Pescara è giornata di bufale e allagamenti. Nella notte, alle 4.30, è esondato il fiume. Piove, e la neve si sta sciogliendo. Dalla mattina su WhatsApp sta girando il file audio di una voce che diffonde una notizia falsa. «Hanno aperto la diga di Piano d’Orta, i pescaresi stiano lontani dal porto e dal fiume perché arriverà un’altra piena». Non è vero, la diga è chiusa e nessuno ha intenzione di aprirla, ma i centralini del 118 sono lo stesso intasati dall’ansia dei cittadini. Il sindaco Marco Alessandrini alle 15 è costretto a smentire un’altra falsità circolata su Facebook. L’acqua di Pescara non è avvelenata, si può bere. La psicosi non si placa, anzi. Monta sempre di più. E all’unità di crisi della Prefettura venti persone sono esauste. Un corridoio col finto parquet sul pavimento, tre stanze sulla destra, quattro sulla sinistra. La prima è la sala radio, la seconda assomiglia a un call center angusto, con gli spazi per i Vigili del fuoco, i carabinieri, i poliziotti, i finanzieri. Computer sulle scrivanie, computer per terra accatastati uno sull’altro, cavi di telefoni, faldoni di carte, mobiletti di legno, vecchi termosifoni bianchi di ghisa. Sulle pareti lavagnette con appunti, post-it con decine di numeri di cellulare accanto a nomi di gente che ha bisogno d’aiuto, la mappa della provincia di Pescara. Un divanetto grigio. Voci, tante, che si sovrappongono.

Poco dopo le 17 se ne aggiunge una che merita di essere presa bene in considerazione. Dal centralino del 118 di Chieti hanno chiamato per avvertire che un uomo li ha appena contattati. Va dicendo tre cose: che l’Hotel Rigopiano è crollato, che c’è stata una valanga, che ci sono superstiti. Giampiero Parete, rintanato nella sua macchina a 1.200 metri di altitudine con Fabio Salzetta, finalmente è riuscito a dare l’allarme. Sono le 17.09, e non c’è spazio per fraintendimenti. Hotel Rigopiano. Crollo. Slavina. Superstiti. Dispersi. Nell’unità di crisi della Prefettura si attivano per verificare l’informazione. Provano a contattare Parete, ma il telefonino non prende. Ci riprovano due, tre volte. Niente. «Mandiamo l’elicottero della Guardia Costiera a sorvolare la zona». Un’idea buona, che rimane in piedi per meno di dieci minuti. «Non può volare in quelle condizioni, la bufera lassù è troppo forte. Rischia di cadere o di sbattere contro una montagna». Qualcuno ne ha un’altra, di idea. E questa si rivelerà pessima. «Chiamiamo il direttore dell’hotel, Bruno Di Tommaso».

Vincenzino Lupi di mestiere fa il dirigente medico alla Asl di Pescara, e nell’unità di crisi è il responsabile del 118. È abituato a pesare le segnalazioni e a valutare gli allarmi. Tocca a lui parlare con Di Tommaso, perché, oltretutto, quell’albergo lo conosce bene. «Pronto? Sono il dottor Lupi... sono stato spesso ospite da voi, ultimamente proprio quando è successo il secondo terremoto e ho visto che la struttura è in cemento armato. Adesso abbiamo avuto una telefonata di una persona che diceva che all’Hotel Rigopiano c’erano feriti per crolli».

«Ma no, chi l’ha fatta?» «Tu hai notizia?» «Ma certo che ho notizia, no no...» «Benissimo, mi fa grande piacere. Tra poco a metà febbraio sarò di nuovo vostro ospite. Che devo dire? L’importante è che è sicuro che non ci sia niente». La telefonata non può che avere questo esito. Lupi parla di crolli causati dal terremoto e non usa mai la parola “valanga” con Di Tommaso. Il direttore smentisce, pur non trovandosi al resort perché ha parlato con lo zio dopo le scosse. Sono le 17.45. L’Hotel Rigopiano è stato un’emergenza per una mezz’ora appena. Non è successo niente, lassù.

«Sono Marcella di cognome, Quintino di nome». Ora è un ristoratore di Silvi Marina che chiama disperato il 113. Giampiero Parete lo ha contattato implorando di dare l’allarme, perché a lui non hanno creduto. La telefonata passa a una funzionaria della Prefettura, che dalla mattina siede nell’unità di crisi. «Il mio cuoco mi ha contattato su WhatsApp cinque minuti fa, l’albergo di Rigopiano è crollato, non c’è più niente... Lui sta lì con la moglie, i bimbi piccoli... intervenite, andate lassù». «Questa storia gira da stamattina. I Vigili del fuoco hanno fatto le verifiche a Rigopiano, è crollata la stalla di Martinelli... È da stamattina che gira ’sta cosa. Il 118 mi conferma che non è crollato niente, stanno tutti bene». «Ma allora come è possibile?». «La mamma dell’imbecille è sempre incinta. Il telefonino...si vede che gliel’hanno preso». La funzionaria pensa a uno scherzo fatto a Quintino Marcella con il cellulare di Parete. Il tono della sua voce è sostenuto, si sente che è infastidita dall’ennesima perdita di tempo di quella giornata storta. Chiude la conversazione alle 18.25. Per i successivi 36 minuti, nelle sette stanze dell’unità di crisi, nessuno parla più dell’Hotel Rigopiano.

Nove fantasmi

Dove si spiega come sei adulti e tre bambini sono riusciti a sopravvivere 58 ore sotto la valanga mangiando ghiaccio, e di come Francesca abbia perso il contatto con il suo Stefano

«Ando sto...? Ando sto…?». Niente riesce a misurare il silenzio come un lamento. E il silenzio, dentro una tomba sepolta da due metri di neve sporca, è assoluto. Il rantolo che risuona nel buio è di Giampaolo Matrone, il pasticciere di Monterotondo. «Ma che è successo?» La valanga li ha sorpresi tutti alle spalle, come il peggiore degli infami. Lui era al bar con sua moglie Valentina, che adesso chissà dove è finita. Certamente non è lì. È l’unica cosa che sa. Per il resto, solo confusione e smarrimento. È stato colpito da una trave, non riesce a muovere la spalla destra. Pochi metri più in là, l’iPhone di Giorgia Galassi sparge un piccolo cono di luce. Non ha campo, la batteria è al tre per cento. Quanto basta a lei e a Vincenzo per radunare le informazioni: l’albergo è distrutto, loro due sono vivi, il divanetto di vimini su cui sono seduti è intatto ma sommerso di schegge di vetro. Sono le 16.56. Un cuneo di ghiaccio ha sfondato la parete, lo possono toccare con la mano. Il caminetto è stato trascinato di un metro verso di loro, i tizzoni emanano ancora calore.

Dove erano Le vittime I superstiti

Sulle macerie del Rigopiano, il destino ha gettato i suoi dadi. Per un casuale e intricato gioco di travi, pilastri rivestiti di sasso, solai, mattoni e pezzi d’arredamento, al piano terra si sono create delle cellule di sopravvivenza: minuscoli anfratti, di proporzioni e forma diversi l’uno dall’altro, all’interno dei quali la temperatura non scende sotto lo zero. Sono tanti piccoli igloo. Dalla sua cellula-divano, infilando il braccio in un pertugio di calcinacci e legni spezzati, Giorgia può sfiorare il viso di Francesca. È in piedi nella cellula adiacente. Le accarezza i capelli con la punta delle dita, riesce a tranquillizzarla. L’iPhone di Francesca ha ancora il 30 per cento di batteria. Prova a telefonare alla mamma, ma la chiamata non parte, non c’è campo. Usa lo schermo per farsi luce. La sua “stanza” è minuscola e scomoda, una trave non le permette di alzare la testa. Non capisce in che punto dell’albergo si trovi. E non vede il suo Stefano, che prima era sulla poltrona vicino a lei, davanti al fuoco. Prova telefonare al 112, niente. Sono le 18.41.

Francesca, Giorgia e Vincenzo cercano di capire chi altro sia sopravvissuto. «C’è qualcuno? Qualcuno è vivo?». Poi restano ad ascoltare il silenzio. Adriana lancia l’urlo più forte della sua vita. «Siamo qui! Sono Adriana Vranceanu, Gianfilippo è con me. Mio marito si chiama Giampaolo Parete, non è con me e Ludovica è nella sala biliardo con altri bambini». Adriana stringe al petto Gianfilippo, otto  anni, l’unico figlio che, per ora, le rimane. L’agenzia Ansa, alle 19.56, lancia questa notizia. «Farindola (Pescara), 18 Gennaio. Una valanga avrebbe investito l’Hotel Rigopiano di Farindola, alle falde del Gran Sasso pescarese. L’allarme è stato dato da due clienti. Si ignora al momento se nella struttura ci siano altre persone. Sul posto il 118 e i mezzi di soccorso che sono partiti dal Coc di Penne. Allertata anche la sala operativa della Prefettura di Pescara».

Mentre il mondo, là sopra, comincia finalmente ad accorgersi che a Rigopiano è successo qualcosa di grave, mentre la neve continua a cadere sul canalone restituendo un candore beffardo ai detriti della valanga e alle spoglie del resort, due metri sotto il ghiaccio il buio sta divorando la speranza. Il freddo ha accorciato la durata delle batterie dei telefonini, per orientarsi resta solo la voce. «Francesca, parla, di’ qualcosa così capisco dove sei». Giorgia sta cercando di passarle del ghiaccio da succhiare. Vincenzo lo stacca dal cuneo di neve, Giorgia lo allunga a Francesca attraverso il buco. La paura e l’adrenalina fanno venire sete.

Ora che il camino si è spento, Vincenzo trema per il freddo ma cerca di trattenersi per non preoccupare Giorgia. Canta. Lo fa per ingannare il tempo, ma anche per dare un riferimento agli altri. Francesca è quella che ne ha più bisogno. Gli altri sopravvissuti della sala bar sono riusciti ad assumere una posizione più confortevole, Francesca no. Vincenzo e Giorgia si sono sdraiati sul divanetto di vimini facendosi spazio tra i vetri delle finestre esplose, Francesca è rimasta sempre nella stessa posizione. Costretta. La solitudine, il freddo, ma soprattutto la perdita di contatto con Stefano, e dunque l’ansia, scatenano i peggiori fantasmi. È convinta di aver trovato Stefano, di avergli afferrato la mano. «È gelata, sta diventando nera». Dice di avergli sfilato un anello dal dito. Vincenzo ha l’impressione che lei nel buio stia colmando di visioni il vuoto, sospesa a metà tra il sonno e la veglia. Giorgia continua a passarle del ghiaccio. Le accarezza il volto.

Luci nella notte

Dove si racconta di quando l’hotel sia diventato finalmente un’emergenza per tutti, e di un uomo che guida una turbina per 60 ore di fila

Sabatino Di Donato, 57 anni, operatore specializzato dell’Anas 
Sabatino Di Donato guida turbine spazzaneve da 37 anni, ma 48 ore di fila ai comandi non le aveva mai fatte. Non dorme da due giorni quando lo chiamano dalla centrale operativa dell’Anas. La telefonata è delle 19.30, e lui si trova a Mosciano Sant’Angelo. Ha passato tutta la mattinata e il pomeriggio del 18 gennaio a pulire le strade e le vie provinciali nella zona di Atri, nel Teramano. Ora gli dicono che deve immediatamente portarsi alla casa cantoniera di Penne presso il benzinaio dell’Agip, dove ci sono un’altra turbina Fresia in attesa e il collega Mario Coppolino che gli potrà dare il cambio alla guida. La loro missione è aprire la strada fino al resort. «È successa una tragedia, fate il più presto possibile». Non gli dicono altro. Tra loro e l’obiettivo, ci sono nove chilometri di neve alta due metri e alberi caduti, lungo una strada provinciale di cui nemmeno si vede più la traccia della carreggiata. Due ore dopo la valanga, l’Hotel Rigopiano è diventato un’emergenza. La massima.

C’è voluta una seconda telefonata di Parete al 118, alle 19.01, per far intendere a tutti gli operatori dell’Unità di Crisi ciò che fino a quel momento era stato sottovalutato. Si attiva la colonna degli aiuti. Al bivio di Mirri sopra Farindola si stanno radunando i mezzi dei Vigili del fuoco, il soccorso alpino, i carabinieri, le autoambulanze della Croce Rossa, la polizia di Pescara, le jeep della Protezione civile. Arrivano i finanzieri con gli sci del gruppo di Roccaraso. Un’armata impotente. Senza la turbina dell’Anas, nessuno si può muovere dal bivio Mirri. Hanno davanti un muro bianco alto tre metri. Ecco la turbina, che taglia la neve. Sono le 21.30. Finalmente inizia la marcia verso l’Hotel Rigopiano. Troppo lentamente. Sabatino Di Donato sbuffa e suda dietro ai comandi, ma quella strada non l’ha mai pulita prima. Non è di competenza dell’Anas, e non ha nemmeno i  paletti rossi ai lati della carreggiata, che ne delimitano il percorso. Deve andare un po’ a istinto. In condizioni normali di neve alta macina 3 chilometri all’ora, ma così, nella tormenta, su un strada che non conosce, non va oltre i 700 metri all’ora. Troppo poco. Non c’è tempo.

Il maresciallo Lorenzo Gagliardi si aggancia gli sci con le pelli di foca. L’idea ora è di mandare il gruppo dei finanzieri alpini in avanscoperta fino all’hotel. Gagliardi guiderà dodici uomini. Sui caschetti hanno messo le torce. L’ordine è stare in fila, a venti metri l’uno dall’altro, per evitare che altre slavine possano travolgerli tutti insieme. Il primo della cordata batte la traccia sulla neve fresca. È una scarpinata nel buio di otto chilometri. Si parte a mezzanotte. La radio della macchina annuncia a Giampiero Parete e Fabio Salzetta che forse sono salvi. Il Gr1 delle 5 sta dicendo che «i soccorsi sono arrivati sul posto». Non vedono nessuno, attraverso i finestrini della vettura bloccata nel parcheggio. Scendono a guardare. Non fa nemmeno freddissimo, un grado sopra lo zero. Il lampo di luce del caschetto del maresciallo Gagliardi sobbalza nella notte.
Lorenzo Gagliardi, 49 anni, comandante del soccorso alpino della Guardia di Finanza 
Parete crolla in un pianto a dirotto. Ripete al finanziere i nomi di Adriana, di Ludovica, di Gianfilippo. Salzetta dà le prime indicazioni. «Ci saranno trenta quaranta persone qui sotto, correte… C’è anche Linda, mia sorella». Gagliardi ascolta. Sa che nessun mezzo di soccorso potrà arrivare prima di qualche ora, e teme che non ci siano speranze. Non ha il coraggio di dirlo. Anzi. Per convincere Parete ad andare in ospedale, gli fa una promessa difficile da mantenere. «Ti riporterò tua moglie e i tuoi due figli, sani e salvi». Salzetta non può andare. Né vuole. Deve restare lì, è l’unico che conosce la struttura e sa dove erano gli ospiti al momento della valanga. Chiede di essere portato a casa, a Penne, solo per mettersi addosso qualcosa di asciutto. Poi torna su. «Ma no ma no…Non dovete scavare lì. Se c’è qualcuno ancora vivo lo trovate dall’altra parte». Si accorge che i Vigili del fuoco sondano la neve nel punto sbagliato. «Andate lì, dove c’era il bar e la sala da tè». Albeggia. Quelli di Giancaterino e D’Angelo, i due che stavano aiutando Salzetta a caricare il pellet, sono i primi corpi ad essere ritrovati, nella stessa posizione in cui il manutentore li ha visti con la coda dell’occhio, per l’ultima volta. La turbina è arrivata fino ai margini della valanga e lì ha spento la fresa. Ci potrebbero essere dei sopravvissuti sommersi dalla neve. Ci ha messo 12 ore per scavare il varco. Sono le 9.30 di mattina. Sabatino Di Donato scende dall’abitacolo. Non dorme da 60 ore.

Ascolta l'audio del soccorritore Sabatino Di Donato

Gli uomini lavorano, sondano, scavano, ascoltano, battono sulla neve, sulle pareti, sui pezzi di solaio. I cani abbaiano e indirizzano. Ma sotto non arriva alcun rumore. La neve attutisce i suoni: il canto di Vincenzo, il pianto di Adriana, il lamento di Giampaolo, il dolore di Francesca. Fino a quando Giorgia non sente dei passi sopra la testa. Loro non lo sanno, ma è la mattina del 20 gennaio. Dopo 43 ore nella cellula-divano, qualcuno sta per tirarli fuori di lì. Rianimati improvvisamente tutti si mettono a urlare. Un urlo stavolta venato di speranza. Ma la neve attutisce anche quei suoni, e quindi ci vorranno altre ore prima che i superstiti vengano individuati. È mattina ormai fatta quando i Vigili del fuoco, incoraggiati dal crescente abbaiare dei cani, riescono a trovare ciò che resta della sala da tè. Dopo alcune ore al suono dei passi si sostituisce quello di una voce: è Mauro, un soccoritore toscano. È lui il primo a entrare in contatto con i superstiti. Tranquillizza la signora Adriana, si fa dare notizie su cosa c’è sotto, poi comincia la fase finale dello scavo.
Qualche ora dopo, il solaio si rompe come un guscio. La luce che penetra all’improvviso ferisce gli occhi di Gianfilippo. «Ahi che male tutta questa luce…», dice il piccolo mentre i Vigili del fuoco lo tirano fuori urlandogli: «Vai Chicco!!». Dietro c’è la mamma. Viene tirata su anche lei: «Nella stanza a fianco c’è mia figlia, nella sala biliardo andatela a prendere, vi prego, riportatemela». I Vigili del fuoco le promettono che lo faranno, poi la caricano sulla barella slitta d’emergenza e vanno avanti. Ci vorrà ancora quasi un giorno per arrivare agli altri. «Non vi preoccupate – dice un soccorritore mentre passa attraverso i cunicoli stretti acqua e tè – noi non abbiamo alcuna intenzione di andar via di qui senza di voi. Ci vorrà quanto ci vorrà, ma vi salveremo».
 

La Nutella e l’ecatombe

Dove si spiega come i bambini sono sopravvissuti mangiando cioccolata e cantando le canzoni di Frozen, mentre pochi metri più in là gli altri erano tutti morti

La sala da biliardo dove si sono rifugiati i tre bambini sopravvissuti 
Sono le 18.24 quando l’Ansa annuncia: «I Vigili del fuoco hanno appena estratto dalle macerie dell’hotel tre bambini». Vivi. Dopo 50 ore «Giocavamo a biliardo in un’altra stanza». Quel bambino di otto anni che i vigili del fuoco portano sulla barella-slitta verso l’elicottero si chiama Edoardo. È uno dei tanti eroi di questa sciagura. Lui, con il suo cappellino tirato giù fin quasi al naso e la giacca a vento azzurra, lui come Gagliardi, lui come Di Donato, come Salzetta, come il pompiere Francesco detto “Checco” che sta tenendo alto il morale dei superstiti ancora intrappolati. Non ha avuto meno coraggio degli altri, Edoardo. Né meno forza. È stato per 50 ore nella sala biliardo con Samuel Di Michelangelo, 7 anni, e Ludovica Parete, 6 anni. Tre bambini piccoli senza adulti cui affidarsi.

La stanza ha sgabelli in legno, la carta da parati a strisce gialle e verdi, una ventina di cornici appese, un mobile con lo specchio, un lampadario dorato a tre luci sopra il panno verde. Loro non vedono niente, solo il  buio. Edoardo però si ricorda dov’era lo scatolone con le confezioni singole di Nutella e le utilizza per calmare gli animi dei suoi amici, e anche il suo. Poi sceglie un angolo della sala e lo “elegge” a punto di raccolta. Lì insieme a Samuel si culla la più piccola del gruppo, Ludovica. Le raccontano storie, le parlano della Juventus di cui sono entrambi tifosi. Va meglio quando le cantano le canzoni di “Elsa, la regina dei ghiacci” il cartone animato preferito. Quando è Samuel ad andare in crisi perché non sa dove fare la pipì, Edoardo lo prende in giro: «Che sei una femmina? Falla in piedi». Poi però si scoraggia anche lui, perché è pur sempre un bambino di otto anni. Le sue preghiere silenziose vengono esaudite intorno alle 18 di venerdì 20 gennaio. Ludovica è la più tenera di tutti. Ai Vigili del fuoco che la portano via da quell’inferno chiede un pacchetto di biscotti Ringo. Il sorriso sulle labbra dei soccorritori dura un solo istante. Il tempo che impiegano a uscire anche Edoardo e Samuel. «Dove sono i nostri genitori?».

Rigopiano, non chiamateci eroi - il docuvideo

Mentre i bambini raggiungono in elicottero Pescara, i vigili continuano a far parlare Francesca, Giorgia, Vincenzo e Giampaolo. La breccia nel solaio è quasi completata, ora si tratta di rompere il divanetto di vimini. Lo spazio è minimo, i due ragazzi vanno tirati fuori per i piedi. Sono in buone condizioni. Poi tocca a Giampaolo. Infine Francesca. «C’è anche il mio Stefano, è qui, gli tengo la mano». I vigili cercano di farla passare per lo stesso canale scavato per gli altri, ma è troppo stretto. «Francesca stai calma, apriamo un altro varco per te, devi aspettare ancora un po’». All’idea di restare anche un altro secondo lì sotto, la ragazza trova la forza che non sapeva di avere. Infila la testa nel buco e spinge fino a farla passare completamente, poi una spalla, poi l’altra (che si lussa), poi il resto del corpo. Tra le braccia del primo soccorritore, si lascia andare ad un urlo raggelante. Cinquantotto ore dopo la valanga. «Chi c’è ancora là sotto?», chiedono i vigili a Giorgia prima di portarla all’ospedale di Pescara. «Nessuno». «Avete sentito qualche rumore?» «Nessuno» «Dov’erano gli altri, prima della valanga?» «Nella sala Garden».

Sulle planimetrie dell’hotel non c’è nessuna sala Garden. Il giorno dopo i vigili del fuoco entrano finalmente nella zona tra la hall e il bar. Ci sono molte piante. E molti clienti morti, compresi i genitori di Edoardo e Samuel. Il cadavere di Stefano lo trovano a cinque metri di distanza dal punto in cui era Francesca.

Epilogo

Questa è la storia di 29 persone che muoiono nel momento stesso in cui si svegliano all’Hotel Rigopiano, la mattina del 18 gennaio 2017. Ricostruita attraverso decine di testimonianze dirette, documenti, atti pubblici. La magistratura accerterà le responsabilità penali, a conclusione del lavoro di indagine dei Carabinieri forestali e della Polizia di Pescara. Ma c’è già un punto fermo. Chi si è salvato lassù, lo deve solo al caso.

Ci sono stati dei ritardi nei soccorsi. Incontestabili. Dal momento in cui Giampiero Parete lancia col suo telefono il primo allarme, alle 17.09, a quando l’unità di crisi della Prefettura di Pescara lo prende finalmente sul serio, passano un’ora e cinquantadue minuti. Tempo sprecato, di cui qualcuno dovrà rispondere ma che, analizzando i fatti, non è stato un elemento decisivo. Nemmeno le ore perse prima che la turbina spazzaneve cominci ad aprire il varco sono stati determinanti. Tre enti incaricati della sicurezza pubblica - la Prefettura di Pescara, la Provincia e la Regione Abruzzo - si sono dimenticati di quella turbina per tutto il pomeriggio, nonostante fosse in funzione proprio sulla statale 81, a Penne, a una ventina di chilometri dalla scena del dramma. E neppure le altre dodici ore servite per consentire finalmente ai mezzi di raggiungere il resort hanno avuto un peso, nella sorte delle vittime.

Nonostante ciò, sbaglia chi parla di fatalità, chi parla di evento naturale imprevedibile che esime l’uomo da ogni colpa. I quattro terremoti di quella giornata, secondo il geologo torinese Igor Chiambretti incaricato dalla Procura per studiare il caso, non possono aver in alcun modo causato il distacco della neve e la slavina. Questa strage, a maggior ragione, si poteva evitare. Bisognava agire prima. Il 18 gennaio, quando le condizioni meteo peggiorano pesantemente su tutto l’Abruzzo e qualcuno dovrebbe sgomberare l’hotel, chiudendo al traffico la provinciale 8. O due giorni prima, quando il bollettino Meteomont annuncia che il rischio valanghe sarebbe salito fino a livello 4, cosa che avrebbe potuto spingere il sindaco di Farindola a ordinare l’evacuazione dell’albergo. Ma nessuno inoltra quel bollettino al municipio. E comunque, in quel Comune non convocano la commissione valanghe dal 2005. E poi c’è la Regione Abruzzo, che in 25 anni non è riuscita a completare la mappa del rischio slavine, documento fondamentale che avrebbe potuto dissuadere chi, nel 2007, ha riaperto il vecchio Hotel Rigopiano e lo ha trasformato in un resort 4 stelle, sotto un canalone di rocce e neve. Si chiama prevenzione, una lezione che l’Italia fatica a imparare. Eppure bastava leggere i segni della natura. O la relazione che una guida alpina scrisse 18 anni fa.