Politica

Tajani, da uomo ombra di Previti al gradino più alto di Bruxelles

(ansa)
E' stato tra i fondatori di Fi nel 1994, portavoce di Berlusconi nei mesi della discesa in campo. Eletto all'Europarlamento 23 anni fa, ha poi perso tutte le battaglie elettorali tentate per rientrare in Italia. Si inabissa negli anni del "Caimano", diventa commissario Ue, da anni è vicepresidente del Ppe
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ROMA – Certo non si può dire che abbia mai fatto difetto l’autostima, in Antonio Tajani, neo-eletto presidente dell'Europarlamento. Uno che da 23 anni siede a Bruxelles e che al primo punto del curriculum sul sito personale, al capitolo “La mia attività”, scrive che «Grazie al mio lavoro in Europa è stato possibile mettere all’angolo l’Europa della finanza e riportare economia reale, industria, piccole e medie imprese e lavoro al centro dell’agenda politica». Quello stesso europarlamentare da una vita che però nella stessa pagina, al capitolo “Esperienze politiche” elenca tutto, ma proprio tutto, omettendo giusto la vecchia militanza in Forza Italia, mai citare, fosse solo una volta, Silvio Berlusconi, il leader di sempre.
 
Del resto, la vecchia volpe del Frusinate - tifoso accanito della squadra di calcio ora tornata in B, sposato, due figli - sa bene che se è approdato alla più prestigiosa delle poltrone alle quali potesse sedere è solo grazie alla fitta trama di relazioni personali che in decenni è riuscito a costruirsi. Non certo per il sostegno del vecchio partito e tanto meno del vecchio capo, ormai in piena parabola discendente, al tramonto del “ventennio” berlusconiano.
 
Paradosso è anche questo, nell’elezione di Antonio Tajani. Raggiungere l’apice del successo personale proprio quando ha iniziato a giocare senza squadra nazionale, ma solo in quella sorta di multinazionale parlamentare che è il Ppe. E non è poca cosa, ovvio. Apolide, senza “famiglia” politica e per ciò stesso “ripulito”, rinnovato, in qualche modo autorottamato e rigenerato. E raccontano che assai ringalluzzito in queste ore sia anche Silvio Berlusconi. Ritrovarsi in questa estenuante attesa del famoso responso europeo sul suo destino giudiziario e personale col vecchio e a lungo dimenticato portavoce del 1994 al gradino più alto delle istituzioni di Bruxelles.
 
Perché forzista e berlusconiano, curriculum o no, Tajani lo è stato davvero dalla prima ora. E non come tanti che lo hanno millantato. Il 18 gennaio del 1994, quando in via Santa Maria dell’Anima 31 a Roma, nello studio pre-politico del Cavaliere, viene istituita l’associazione Forza Italia, ci sono Antonio Martino, il generale Luigi Caligaris, l’imprenditore Mario Valducci, il notaio Francesco Colistra e proprio Antonio Tajani. Allora capo della redazione politica del Giornale (di Indro Montanelli). Giovane militante di destra, negli anni del liceo, nei pericolosi anni Settanta romani. Leggenda tra i compagni di scuola divenuti famosi (vedi Gasparri) vuole che al Liceo Tasso furono tante e tali le scazzottate – per lo più subite – che a un certo punto decida di gettare la spugna per traslocare al più tranquillo e meno politicizzato Lucrezio Caro.

A Palermo lo ricordano ancora, il Tajani giornalista di quegli anni. Anni di piombo mafioso, di guerra dei corleonesi, di sangue per le strade e di pool antimafia in trincea e quel giovane cronista del Giornale, spesso, spessissimo inviato in Sicilia a imbastire articolo dopo articolo una vera e propria campagna contro quel pugno di magistrati, pronto a contestare e mettere in discussione metodi e inchieste di Giovanni Falcone. Sarà il 2017 del venticinquesimo anniversario della strage e l'anno di Tajani presidente del Parlamento europeo.

E un piccolo “covo” della destra politica è stata anche la redazione romana del Giornale, quando il giovane Tajani vi approda, divenendone capo nel 1991, a 38 anni. E’ in quel periodo che si costruisce un solido rapporto personale con Gianni Letta, punto di riferimento della Fininvest a Roma. Già allora braccio destro di un Berlusconi imprenditore e via via sempre più tentato dall’avventura politica. E sarà il futuro sottosegretario a presentare Tajani al magnate deciso a lanciarsi nell’arena politica e alla ricerca di un giornalista navigato per farsi guidare tra i palazzi che contano della Capitale. Ne diventerà portavoce, l’ombra, nei mesi della cavalcata trionfale dalla discesa in campo del gennaio 1994, dell’«Italia è il Paese che amo», al successo alle Politiche di marzo.
 
Ma, ironia della sorte, solo grazie a un incidente di percorso quel giornalista che ormai sogna anche lui di saltare la staccionata e diventare “politico” si ritrova a Bruxelles. Candidato in un collegio laziale alla Camera, una irregolarità formale nella presentazione della lista ne determina l’esclusione. Berlusconi prova a consolarlo con la candidatura alle Europee, da lì a poco, giugno ’94, lui non la prende benissimo. Viene eletto, vola nell’Europarlamento, ma la testa è a Roma. Diventa coordinatore laziale di Fi, affianca soprattutto Cesare Previti che nel frattempo viene nominato dal capo coordinatore nazionale.
 
Ma in quegli anni l’Europa viene vissuta solo come un ripiego. Per di più amaro. Tajani perderà infatti in sequenza tutte le occasioni per tornare in partita in Italia. Nel 1996 quando prova a essere eletto di nuovo alla Camera: sconfitto in un collegio maggioritario contro il sindaco pd di Paliano, nel Frusinate, praticamente a casa sua. E si infrangerà anche l’ultimo sogno, quello di diventare sindaco di Roma, nel 2001, quando sarà costretto a cedere il passo a Walter Veltroni. Forse allora, solo allora l’eurodeputato capisce che il suo destino è lontano dall’Italia e che è lì che converrà investire politicamente. Con gli anni matura l’esperienza, si consolida un certo prestigio personale nel Ppe, si accumulano gli incarichi, da commissario ai Trasporti, poi all’Industria, fino ai più recenti da vicepresidente del Parlamento dal 2014 e da vice presidente del Ppe.
 
Abile, astuto, ha fatto della "moderazione" un vessillo personale, filo Merkel sotto traccia anche negli anni più critici della premiership di Berlusconi, anni in cui Tajani si inabissa, scompare, si defila, tenendosi lontano dalle guerre politiche e giudiziarie condotte in Italia dal suo leader. Fervente anti leghista e acerrimo nemico di Salvini (a Bruxelles si salutano a stento). L’ultima sfida con Gianni Pittella, amico e avversario di una vita. In fondo l’altro italiano che come lui non è mai stato profeta in patria.     
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