20 Anni Repubblica

Quello che non avevamo previsto

Il mondo sempre connesso, la crisi globale, l'irruzione di Facebook, la società dei Big Data: ecco cosa possiamo imparare da ciò che non avevamo immaginato

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Ci risiamo, sono passati altri dieci anni di Repubblica.it. Il 14 gennaio 2007 gli amici della redazione mi chiesero di immaginare che cosa sarebbe stata l'informazione del futuro e oggi mi chiedono di riprovarci. Purtroppo chi tenti di "prevedere" alcunché è a rischio di gravi smentite e così è accaduto anche  per le "previsioni" azzardate nel 2007. Oggi è dunque meglio ragionare partendo da ciò che allora non avevamo affatto previsto e che invece è accaduto, modificando radicalmente il sistema informativo.
  • Non avevamo messo in conto la rete in mobilità, l'umanità sempre connessa
  • Non avevamo messo in conto la crisi economica globale
  • Non avevamo messo in conto la forza delle grandi piattaforme digitali
  • Non avevamo messo in conto la società dei big data
Tutto questo e altro ha fatto sì che l'ambiente nel quale abbiamo fatto giornalismo nei dieci anni passati fosse assai diverso da quello che ci immaginavamo nel 2007.
 
Ci immaginavamo ancora un futuro di "giornali", sia pur digitali, nel senso di pacchetti informativi completi cui pro-attivamente i "lettori" avrebbero scelto di indirizzarsi - non che essi avrebbero passato la loro vita digitale su Facebook o spigolando tra le applicazioni di uno smartphone, finendo sui nostri singoli contenuti seguendo un link.
 
Ci immaginavamo ancora, di conseguenza, i prodotti giornalistici sempre al centro dei flussi informativi - non che la disintermediazione e la re-intermediazione da parte dei nuovi protagonisti digitali avrebbe creato un mondo dove la nostra presenza sarebbe divenuta eccentrica.
 
Ci immaginavamo ancora che i "lettori" avrebbero continuato a fruire dei nostri contenuti dalla comodità delle loro scrivanie, su schermi ampi - non che lo avrebbero fatto su uno schermo largo poco più di un pacchetto di sigarette, in piedi su un autobus.
 
Ci immaginavamo ancora di poter trasferire al digitale un modello di affari mutuato direttamente dall'esperienza delle comunicazioni di massa, fatto di prodotti uguali per tutti, di grandi numeri e di pubblicità - non che una crisi economica devastante avrebbe ridotto drasticamente gli investimenti pubblicitari e spostato quelli digitali sulle grandi piattaforme come Google o Facebook (su piattaforme, cioè, nate per differenziare il proprio servizio a seconda delle necessità di ciascun utente), o che circa un quarto dei nostri utenti la pubblicità l'avrebbe del tutto eliminata installando gli adblocker.
 
Ci immaginavamo ancora che la tastiera e il mouse sarebbero stati i mezzi prevalenti per accedere alla nostra vita digitale - non che il nostro corpo lo avrebbe fatto in modo diretto e fisico, con le nostre mani e, sempre più, con la nostra voce.
 
Ci immaginavamo ancora che i "computer" dovessero essere interrogati per riceverne informazioni - non che "assistenti personali" robotizzati ci fornissero autonomamente informazioni rilevanti al contesto.
 
Ci immaginavamo ancora che la scrittura di un articolo fosse il più chiaro esempio funzione umana non replicabile - non che algoritmi scrivessero migliaia di articoli per alcune delle maggiori testate internazionali pescando i dati necessari in un database.
 
Ci immaginavamo ancora che l'aderenza alla realtà dei fatti, avrebbe continuato a far premio nel discorso pubblico sulla informazione senza riferimenti alla realtà dei fatti - non che si sarebbe arrivati a dire di un presidente americano appena eletto: "La stampa ha preso [Donald] Trump letteralmente, ma non seriamente. I suoi elettori lo hanno preso seriamente, ma non letteralmente".
 
Alla fine del pezzo di dieci anni fa scrivevo che una società democratica di massa non può "fare a meno di gente che per mestiere fa il mediatore dell'informazione, secondo criteri professionali ed etici che chiamiamo 'giornalismo'. Non è tuttavia scontato - aggiungevo - che questa funzione sopravviva, occorre lavorare, cittadini e giornalisti insieme, perché sopravviva". Ne sono ancora convinto, ma la situazione è oggi assai più a rischio: come mantenere al giornalismo professionale un ruolo , dopo che ci siamo accorti di non essere più al centro, ma alcuni tra tanti?
 
Alcune idee:
  1. Il giornalismo professionale è e sarà sempre più una "nicchia" informativa, non il principale protagonista - nel bene e nel male - del discorso pubblico. Una nicchia che potrà distinguersi solo per autorevolezza e perché fornisce contenuti di qualità diversa, cioè contenuti prodotti secondo un metodo diverso, più faticoso e più costoso, di ricerca, raccolta, verifica. Senza illudersi che questo faccia riconquistare ai giornali (sia pur "digitali") la centralità che stanno strutturalmente perdendo, ma nella convinzione che l'esistenza di alcune "ridotte" della qualità informativa possa comunque tornare socialmente utile.
  2. Le parole d'ordine in questo contesto: trasparenza dei processi, criteri e linee guida pubblici, indicazione delle fonti, coinvolgimento del pubblico. Il prodotto giornalistico professionale che avrà ancora un ruolo sarà un "hub", centro di smistamento, piattaforma delle relazioni sociali. Potrebbe darsi che nel prossimo futuro un "giornale" offra ai suoi lettori di diventare in qualche modo "soci" dell'impresa comune, accettando e mettendo a frutto il rivolgimento dei ruoli tradizionali dell'informazione portato la rivoluzione digitale.
  3. Accettare di diventare "autorevoli nicchie informative", implica il progressivo abbandono dell'idea generalista di giornale, il giornale-supermercato dove ciascuno trova un po' tutto. Non ci sono più le condizioni economiche e strutturali per far sopravvivere quel modello. I supermercati sono Google e Facebook. Il giornalismo di "autorevole nicchia", si concentrerà su informazioni verticali, approfondite e dettagliate, focalizzate su ciò che quella redazione può fornire di "non fungibile.
  4. Il giornalismo potrà giocare meglio le sue carte con le informazioni che vanno oltre l'attualità, che durano nel tempo. Più un contenuto è durevole nel tempo, maggiore è il suo valore per il cittadino e maggiore potrà esserne anche il valore commerciale. Si vedranno prodotti e redazioni differenziati per "durata" delle informazioni, con una parte concentrata sui contenuti che con il passare del tempo accumulano valore, non ne perdono.
  5. La tecnologia sarà parte integrante del prodotto giornalistico. Essa non è già più solo i mezzi per produrre e distribuire informazioni, è ciò che definisce il prodotto e abilita le relazioni umane. Le aziende editoriali scopriranno di non essere solo "media" e - in modo speculare alle grandi aziende "tecnologiche" che hanno invaso il campo dei media (Google, Facebook, ecc.) - dovranno diventare anche aziende tecnologiche, facendo della raccolta e della gestione dei dati la propria missione aziendale e sociale.
  6. La ricerca tecnologica in questo momento gira intorno alle applicazioni della intelligenza artificiale, alla connessione e alla comunicazione tra gli oggetti, alle interfacce vocali, alle analisi predittive. Tutto questo dovrà riguardare il giornalismo, ma non solo nel senso di raccontarlo, ma di viverlo, farlo proprio. Leggere (e raccontare) ciò che ci raccontano i dati del mondo che è e specialmente di come sarà, non è tipico compito del giornalismo? Che cosa succederà fra pochissimo, quando ci saremo abituati a interagire con le cose e con il mondo tramite gli assistenti vocali tipo Alexa di Amazon? Qualunque cosa sarà il "giornale" in quel mondo non assomiglierà né al giornale di carta, né al sito web del quale ora celebriamo il ventennale.
È difficile immaginare che le redazioni, anche le maggiori, possano fronteggiare con successo tutte queste sfide da sole. Immagino che per sopravvivere, il giornalismo professionale dovrà collaborare molto di più, tra redazione e testate, ma anche con cittadini, organizzazioni della società civile ecc. per creare le piattaforme, per sostenere l'ambiente e la cultura che consentano di vivere a quel che chiamiamo "giornalismo" - in un universo dove non sono più solo i giornalisti a informare il mondo.