Esteri

L'ultimo discorso di Obama da presidente: "Non mi fermerò qui, sarò con voi". E si commuove

La commozione di Obama (ap)
A Chicago, davanti a oltre 20 mila persone. Critica le posizioni di Trump senza mai nominarlo, parla soprattutto ai suoi invitandoli a un forte impegno civile e conclude con lo slogan "Yes, we can"
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CHICAGO - "E' stato l'onore della mia vita servirvi, ma non mi fermerò qui. Sarò al vostro fianco, da cittadino". Barack Obama nella serata più intensa e più difficile della sua vita ritrova il carisma e il vigore di otto anni prima: "Yes We Can". Ripete quella frase sommerso dal boato della sua folla, più di ventimila venuti al McCormick Place, lo stesso centro congressi dove celebrò la sua vittoria su Mitt Romney nel novembre 2012.

Obama: ''Io non mi fermerò, Yes we can, yes we did''

Yes We Can, lo slogan che lanciò la sua traiettoria politica, proprio qui a Chicago in una serata ben più magica e più ricca di speranze, nel novembre 2008, oggi lui lo declina come un invito alla lotta, all'impegno civile, alla fiducia in una democrazia scossa e minacciata. Nella serata del grande addio lancia un appello alla mobilitazione: "Vi chiedo di credere in voi stessi, nella vostra capacità, perché il vero cambiamento siete voi". Circondato da un pubblico che è la sua famiglia, nella città che fu la sua palestra e il suo trampolino verso la presidenza, lui potrebbe strappare applausi con facili polemiche. Invece non nomina una sola volta Donald Trump. Gli lancia degli avvertimenti indiretti, sul rispetto della Costituzione.

Ma è soprattutto ai suoi che Obama parla, nel testamento politico che è un invito all'impegno civile: "La nostra democrazia è minacciata quando la consideriamo garantita. Quando stiamo seduti a criticare chi è stato eletto, e non ci chiediamo che ruolo abbiamo avuto nel lasciarlo eleggere". Il più importante incarico in una democrazia è il vostro, dice, è il mestiere del cittadino. Non solo quando ci sono le elezioni, non solo quando i vostri interessi sono in gioco". "E se siete stanchi di discutere con degli estranei su Internet - ironizza - provate a incontrarne qualcuno in carne e ossa. Candidatevi per un incarico pubblico. Mettetevi in gioco, scendete in campo". Questa lezione di cultura democratica lui la ricollega proprio con la storia del suo apprendistato qui a Chicago: "In questa città ho imparato che il cambiamento avviene solo se le persone s'impegnano e lo conquistano. I diritti non si realizzano da soli". Obama non vuole aggiungere allarmi e paure ai tanti che sono già nell'aria, dall'8 novembre. Anzi ribadisce che farà la sua parte perché "fra dieci giorni si compia il pacifico passaggio dei poteri, un punto alto della nostra democrazia". Ma subito affronta anche lo stato di salute di questa democrazia, nella sua analisi s'intrecciano le critiche all'ideologia di Trump, e le autocritiche sui traguardi mancati degli ultimi otto anni. Elenca con puntiglioso orgoglio i suoi successi, dall'eliminazione di Osama Bin Laden al matrimonio gay. Ma passa rapidamente anche all'altro elenco, quello dei problemi irrisolti: diseguaglianze crescenti, troppi americani che restano ai margini di questa crescita. "E' una tendenza di lungo periodo", non è cominciata con la sua presidenza. Come curarla? Ricostruendo un Welfare, una rete di protezione, adeguata a un'economia dove il ceto medio è minacciato da globalizzazione e automazione. Riformando le leggi fiscali per impedire l'elusione delle multinazionali. "Se non facciamo progressi su questo, avremo ancora più disillusione e più polarizzazione politica".

Non vuole evitare quello che forse per lui è l'argomento più spinoso. L'illusione che grazie alla sua vittoria del 2008 l'America fosse entrata in un'era "post-razziale". Sciocchezze, "non è mai stato realistico, gli effetti dello schiavismo non sono svaniti negli anni Sessanta". Qui lancia alcuni dei moniti più severi contro Trump e tutta la destra. Denuncia la manipolazione del razzismo, da parte di chi aizza gli operai bianchi perché credano che le loro difficoltà economiche siano dovute alle minoranze etniche, e così il conflitto sociale diventa una lotta tra poveri per la spartizione delle briciole, mentre i privilegiati godono. Denuncia chi descrive le legittime rivendicazioni di neri e immigrati come fossero un "razzismo alla rovescia". Attacca l'islamofobia: "Respingo le discriminazioni contro i nostri connazionali musulmani, che amano l'America quanto voi". Un altro passaggio indirettamente rivolto a Trump - e alla sua campagna "post-fattuale", ovvero infarcita di menzogne - è quando Obama avverte che "la realtà esiste, e la scienza conta" (un'allusione al cambiamento climatico).

Si commuove, e il viso si bagna di lacrime, quando ringrazia Michelle: "Non solo mia moglie e la madre delle mie figlie, sei stata anche la mia migliore amica. Sono fiero di te, l'America è fiera di te". Il sipario finale li ritrae di spalle, mano nella mano, mentre escono di scena. Lui ha avvertito l'America che non dovrà mai "ritirarsi dalle battaglie globali per allargare i diritti, contro l'estremismo, e contro il totalitarismo", e in quell'appello c'è anche il programma della sua vita futura. Ma ora che ha pronunciato l'ultimo discorso, e si appresta a continuare la battaglia da cittadino, sia pure capo morale dell'opposizione a Trump, lui sa che la battaglia diventa tutta in salita, e il suo podio non avrà mai più la stessa potenza e risonanza di questa sera.  

Chicago, Obama commosso ringrazia Michelle ed è standing ovation

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