R2 Foto Rep

Saviano: il ritratto di un anno in 16 immagini

L’odissea dei profughi e le speranze di Cuba, la corsa alla Casa Bianca e le proteste degli afroamericani, il terremoto e gli attentati dell’Isis, la Brexit e la repressione di Erdogan: l’autore di Gomorra - su Robinson in edicola - ha scelto e commentato sedici immagini simbolo che raccontano la storia del 2016. Eccole VIDEO

7 minuti di lettura
19 gennaio 2016. AFP PHOTO / ILYAS AKENGIN 
Gennaio - Siamo nella Turchia sudorientale, ai confini con l’Iraq: il 2016 si apre con l’offensiva dell’esercito di Erdogan contro il Pkk e le enclave curde del Paese. È il distretto di Silopi, uno dei piccoli centri colpiti dall’artiglieria e poi costretti al coprifuoco.
Ma questa immagine esprime una incredibile forza e dignità, sembra quasi racchiudere l’identità e il coraggio di un popolo che resiste alla tenaglia di tre dittature, ed è riuscito a costruirsi un’isola di autonomia che difende con le unghie e con i denti: ne parla ZeroCalcare in queste pagine.
Vediamo una madre, con i suoi tre figli in una casa ormai svuotata dalla guerra: i dettagli ci suggeriscono che non era una famiglia povera, i fregi sui soffitti, ai quali erano probabilmente appesi dei lampadari, lo dimostrano. Non ci sono più mobili, solo una panca, un cuscino e macerie sui pavimenti. Dove dormiranno nelle notti gelide di gennaio? Come si riscalderanno? Cosa mangeranno?
Hanno perso tutto. Eppure, la donna sta in piedi, ferma, senza urla nè lacrime. Guarda con fierezza oltre la voragine che è stata aperta nella parete della sua casa. Oltre la repressione di Erdogan, oltre le sofferenze della guerra, c’è la sua gente che combatte tenacemente per continuare a sperare nel futuro.
8 febbraio, 2016.  REUTERS/Brian Snyder 
Febbraio - Mancano ancora molti mesi al voto che stravolgerà l’America e il mondo: Trump non è ancora diventato il candidato alla Casa Bianca e Hillary sta ancora lottando con Sanders nelle primarie democratiche. Nulla lascia prevedere il terremoto che sta per arrivare.
Ma questa foto è un presagio, sembra descrivere il futuro dei Clinton. Il destino è già scritto. Due pensionati, di lusso ma pensionati, sono seduti al tavolo di un fast food come una coppia qualsiasi. Il fotografo li ha colti nella loro normalità, nella loro solitudine, mentre mangiano durante una delle tante manifestazioni organizzate per le primarie.
È una foto che evoca un tramonto, una foto in cui c’è già scritta la parola fine. È strano, finiva così anche la serie dei Soprano, una delle serie più longeve e amate d’America: l’ultima scena vedeva il boss Tony con la moglie e i figli seduti al tavolo di un fast food. Hillary aveva imitato quella scena in uno spot, quando perse le primarie con Obama. Qui l’ha interpretata di nuovo: ma questa volta inconsapevolmente.
14 marzo 2016. AFP PHOTO / DANIEL MIHAILESCU 
Marzo - Vengono dal villaggio di Idomeni, in Grecia, cercano di attraversare il confine macedone, per raggiungere l’Europa centrale. Sono in gran parte siriani. Una donna ha gli occhi sbarrati, un’altra è in lacrime. Non hanno nulla, tranne i loro vestiti. È un’immagine biblica: quel piccolo fiume gonfio di fango è come il Mar Rosso. Attraversarlo vuol dire sfuggire ad una condizione di schiavitù, di orrore, di paura. Vuol dire salvarsi dalla guerra. Ma per i profughi non c’è nessun Mosè a dividere le acque.
20 Marzo 2016.   REUTERS/Alberto Reyes 
Marzo - L’Air Force One con a bordo Barack Obama sorvola i sobborghi de L’Avana prima di atterrare a Cuba. Il modernissimo e potente aereo presidenziale sembra sfiorare le macchine novecentesche che ancora, miracolosamente, i cubani riescono a far funzionare: due mondi distanti, e finora separati, finalmente si intercettano e stanno per incontrarsi. La gente si ferma per strada, consapevole che la visita cambierà la storia dell’isola. Nel muro invisibile che gli Stati Uniti hanno costruito intorno a Cuba, imponendo un embargo durissimo, cominciano ad aprirsi le prime brecce.
È marzo, Fidel Castro è ancora vivo, ed è ancora inimmaginabile che Donald Trump conquisti la Casa Bianca: vedremo cosa farà di quel muro il nuovo presidente Usa.
21 aprile 2016.  REUTERS/Lucy Nicholson 
Aprile - Prince appare come un Cristo del Mantegna, quasi fosse un’icona sacra, nell’immagine che questa ragazza dolente porta con sè alla veglia per celebrarlo a Los Angeles. La riproduzione ha una piccola corda: probabilmente la ragazza teneva la figura del suo idolo appesa in camera, o nel luogo di lavoro.
Le sue lacrime raccontano quanto è profondo e importante il rapporto che abbiamo con chi scrive le colonne sonore delle nostre vite. Le loro parole, le loro musiche sono il telaio sul quale costruiamo sensazioni, emozioni, sogni. Quando i loro autori muoiono, ci sembra che un pezzo di noi, della nostra vita muoia con loro.
 
4 maggio 2016.  REUTERS/Aly Song  
Maggio - “Le lacrime non basteranno a fermarti, devi continuare il tuo esercizio”: è quello che sembra dire la mano dell’invisibile coach a questa bambina di Shanghai. Il gesto dell’allenatore non è una carezza, né una consolazione. La mano è tesa e rigida, leva via le lacrime dal volto della bimba come se esprimesse un ordine, un imperativo morale. La piccola — quanti anni avrà? Sei? Sette anni ? — lo guarda impaurita e rassegnata. La sua compagna più grande è interdetta e sconfortata. Tutte e due sanno di non avere scelta. Devono continuare a esercitarsi al quadro svedese.
È il metodo cinese: addestrare severamente, come dei professionisti, i bambini già in tenera età. Soprattutto in discipline come la ginnastica. In modo che il corpo dei piccoli atleti possa essere plasmato secondo le esigenze dello sport che praticano. Perché lo sport non è una passione individuale, è una missione nazionale. E si misura in medaglie.
15 giugno 2016. REUTERS/Siphiwe Sibeko 
Giugno - Pistorius si toglie le protesi nell’aula del tribunale di Pretoria che lo sta processando per la morte della fidanzata: è un gesto estremo, deciso d’accordo con il suo collegio di difesa. Gli avvocati sostengono che l’hanno fatto per ricostruire cosa accadde la notte dell’omicidio: il campione paralimpico era in casa senza le protesi. Ma è evidente il tentativo di fare empatizzare la giuria con l’imputato, che ha camminato in lacrime davanti ai giurati. Anche perché l’atleta non si era mai mostrato in pubblico così. Ma il tentativo è stato inutile e non gli ha evitato la condanna.
16 giugno 2016. REUTERS/Phil Noble  
Giugno - Una scarpa elegante, nera, con il tacco: un agente della polizia scientifica la prende nel luogo dove Jo Cox è stata appena assassinata da un fanatico neonazista.
La parlamentare laburista inglese stava facendo campagna elettorale contro la Brexit. L’emozione provocata dall’omicidio fu enorme, e i giornali di tutto il mondo pubblicarono la storia di una donna forte, coraggiosa, impegnata. Mancavano sette giorni al voto e tutti pensarono e dissero che l’omicidio avrebbe regalato voti al “Remain”, portandolo alla vittoria. I sondaggisti confermarono.
Ma così non è stato. Forse Farage sarebbe stato sconfitto se si fosse votato uno o due giorni dopo. Ma viviamo in un’epoca dalla memoria corta, le grandi ondate emotive durano lo spazio di un mattino. Ed è bastata una settimana per dimenticare Jo Cox.
9 luglio 2016.  REUTERS/Jonathan Bachman   
Luglio - C’è un intero mondo che parla in questa foto: da una parte una ragazza afroamericana, elegante, con le ballerine ai piedi e i capelli lisci, che esprime una serietà serena e forte di fronte alla polizia. Dall’altra gli agenti che sembrano indietreggiare, come se fossero spaventati da tanta calma impassibile, la calma che esprime solo chi sa di aver ragione. Ragione contro forza: è il motivo per cui la ragazza di Baton Rouge è diventata una delle immagini simbolo delle proteste Usa per le violenze della polizia contro gli afro-americani.
15 luglio 2016. REUTERS/Eric Gaillard 
Luglio - C’è un tricolore, c’è una bottiglia di champagne, c’è il mare, una città di vacanza che ha attraversato la tragedia: questa immagine sintetizza la Francia, e l’orrore che ha vissuto in una notte che doveva essere di festa. È il giorno dopo, sulla Promenade des Anglais un uomo è uscito in bicicletta, ma non può andare avanti, non ce la fa. Si ferma su una panchina, probabilmente piange, sopraffatto dal dolore. Non trova ragione — non può trovarla — per quello che è successo.
16 luglio 2016. Stringer/Getty Images 
Luglio - È un’immagine impressionante, che ribalta tutte le foto sui militari finora viste. Di solito i golpisti sono militari violenti che picchiano e massacrano i civili: qui accade il contrario. Guardate gli uomini sul fondo che armati di cinghie colpiscono i poveri soldatini in divisa che non provano neanche a reagire. Sono giovanissimi, inermi, impauriti.
È la reazione feroce della guardia di Erdogan al tentativo di destituirlo. Questo è uno dei pochi scatti che testimoniano cosa aspetta — la violenza, gli arresti, e per alcuni la morte — i militari che hanno osato sfidare Erdogan. Golpisti per la democrazia.
 
24 agosto 2016.  ANSA/ MASSIMO PERCOSSI 

Agosto - Questo scatto ha fatto il giro del mondo, per i media stranieri è stato il simbolo del terremoto che ha devastato il nostro Paese. L’hanno pubblicato tutti e a più riprese. Perché è Italia: una suora, giovane, ferita,con un cellulare di vecchia generazione in mano, con semplici sandali ai piedi. C’è tutto ciò che per i giornali, i siti e le tv del mondo rappresenta il nostro paese: la religione, una bellezza antica, persino una certa eleganza e compostezza nel dolore.
Non ha importanza che la suora si chiami Marjan Lleshi e sia albanese. Nel mondo simbolico la sua immagine è diventata la sintesi non solo dell’Italia ferita ma anche dell’Italia sopravvissuta. Quel suo gesto, il tentativo di telefonare prima ancora di rialzarsi da terra, pronta a rassicurare i suoi cari, ha commosso tutti.
11 settembre 2016. AFP PHOTO / AMEER ALHALBI 

Settembre - Senza perdere la tenerezza: nella tragedia della guerra, nel dolore di Aleppo devastata dai bombardamenti, due uomini portano in salvo alcuni bambini appena nati. Sembrano padri, e forse lo sono: certo ricordano i papà che, per la prima volta, prendono in braccio al nido i figli neonati. Lo fanno con cura, delicatezza, quasi con la paura di far loro del male. E per le piccolissime, fragilissime vite di Aleppo questa è una seconda nascita. La prima è quando questi figli della guerra sono venuti al mondo, la seconda è quando sono stati risparmiati dalle bombe. Speriamo per sempre.
2 ottobre 2016. AP Photo/Marcio Jose Sanchez 

Ottobre - Il giocatore di football americano Colin Kaepernick, si inginocchia mentre viene suonato l’inno nazionale americano, nella stadio di Santa Clara, in California. Lo affiancano i compagni di squadra Eli Harold (a sinistra) e Eric Reid (a destra). È la protesta contro le violenze della polizia sulla popolazione afroamericana, che evoca i pugni chiusi di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi del ’68 in Messico in nome del Black Power. Kaepernick aveva cominciato in un altro modo ad esprimere la sua muta ma clamorosa protesta: restava seduto durante l’esecuzione dell’inno prima di ogni partita. Ma era stato criticato da una parte della sua stessa comunità. «Così — gli avevano detto — non onori fratelli che sono morti sui campi di battaglia». Per questo il quarterback dei San Francisco 49ers ha deciso di inginocchiarsi: «In questo modo rendo onore a chi ha sacrificato la sua vita per noi, ma continuo a non alzarmi per omaggiare uno Stato che ci offende e ci uccide». E la sua protesta è diventata virale.
10 novembre 2016. AP Photo/Pablo Martinez Monsivais 
Novembre - Donald Trump nonostante tutto e tutti ha conquistato la Casa Bianca e Obama lo deve accogliere e riconoscerne, simbolicamente, la vittoria. Questa foto rappresenta il trionfo della democrazia perché due grandi rivali — anzi nemici — politici devono stringersi la mano. Ma il senso profondo di questa immagine è tutta racchiusa nel volto del presidente Usa: che esprime una distanza siderale dall’uomo che gli siede di fronte. Esprime sconcerto, sconforto, una sorta di disgusto: questa smorfia resterà il giudizio più forte, più di qualsiasi discorso, sulle elezioni americane.
19 dicembre 2016. AP Photo/Burhan Ozbilici 
Dicembre - Sembra una scena ripresa da un film di Tarantino, un attore preso di peso dal set delle Iene. È il primo terrorista islamico in giacca e cravatta. In realtà Mevlut Mert Altintas, il ventiduenne che ha ucciso l’ambasciatore russo in Turchia, aveva scelto con cura il suo abbigliamento: è un abito-divisa. Era un poliziotto che lavorava nelle scorte: sapeva benissimo che indossare un abito nero, una cravatta scura e la camicia bianca, lo avrebbe reso quasi invisibile. Agli occhi degli uomini della sicurezza era innocuo, era uno di loro. E quel lunedì pomeriggio si è mosso come uno di loro. È entrato nel centro culturale di Ankara esibendo un tesserino della polizia. Appena l’ambasciatore ha iniziato a parlare si è messo in un angolo, come previsto dal protocollo delle scorte, poi ha tirato fuori la pistola, e ha operato in modo secco, deciso, da professionista. Primo e secondo colpo ai punti vitali, poi il resto del caricatore sul corpo. E dopo ha fatto la sua dichiarazione davanti alle telecamere.
Il grande terrore che nasce da questo attentato è che a compierlo è stato un agente di polizia, un uomo che ha fatto parte delle scorte di esponenti politici: la paura è che ne possano nascere altri come lui. Se anche i poliziotti si radicalizzano, se diventano dei pericoli, difendersi diventa quasi impossibile. Ma questo è il messaggio che l’Isis vuole mandare da Ankara: anche chi vi protegge vi può uccidere.