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Taj Mahal. L'India lo toglie dalle brochure turistiche: "Estraneo alla nostra cultura"

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Il celeberrimo "mausoleo dell'amore" di Agra al centro dell'ennesima diatriba sul valore dei simboli delle diverse culture che si sono alternate nel mondo. Il governo locale induista lo snobba perché opera di un imperatore musulmano che lo costruì umiliando i proprietari del terreno, induisti
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BANGKOK - Nella classifica delle meraviglie mondiali dell’Unesco è settimo, ma in quella delle polemiche il celebre Taj Mahal di Agra è ormai decisamente al primo posto.

Qualche giorno fa destò grande sorpresa il fatto che questo marchio turistico dell’India noto come Mausoleo dell’amore, fosse stato escluso per la prima volta dai libretti turistici ufficiali dell’Uttar Pradesh. Un parallelo comprensibile potrebbe essere l’esclusione del Colosseo dalle guide di Roma, se non fosse che dietro la “dimenticanza” del locale governo del Bjp, retto da un santone hindu di nome Yogi Adityanath, sembra esserci una provocatoria motivazione storico-politico-religiosa. Poche ore dopo l’esplosione del caso su tutti i media e social, un alto esponente del Bjp, un parlamentare locale di nome Sangeet Som, ha detto che il Taj è addirittura una “macchia” nel passato dell’India, Non meraviglino i toni, visto che quattro anni fa questo stesso onorevole guido’ le rivolte con più di 60 morti tra le comunità hindu e islamiche di Muzzafarnagar.

"Molte persone sono rimaste deluse dal fatto che il Taj Mahal è stato rimosso dal libretto turistico – ha detto Som – Ma di quale storia stiamo parlando? Il creatore del Taj Mahal ha imprigionato suo padre (in realtà avvenne l’opposto quando Shah fu rinchiuso nel Forte di Agra dal sesto dei suoi 14 figli, ndr) e ha voluto cancellare gli indù. Se queste persone fanno parte della nostra storia, allora è molto triste e noi cambieremo questa storia, ve lo assicuro".

Un portavoce del BJP ha detto che le sue sono opinioni personali e che il Taj resta un’icona dell’”Incredible India”, ma non le ha condannate. La posizione del partito ha autorizzato altri esponenti a dire la loro sopra le righe della stessa storia finora accreditata. L’influente Subramanian Swamy, capo di molte missioni diplomatiche all’estero, ha detto di essere in possesso di documenti secondo i quali l’imperatore Shah costruì il Taj Mahal su terreni del Maharaja hindu di Jaipur, dandogli in cambio un miserabile compenso di 40 villaggi rispetto ai 30mila da lui governati. A prova della rivelazione, Swami aggiunge che esistono nel magnificente palazzo di stile inconfondibilmente islamico chiari segni della precedente struttura hindu, e che – guarda caso – sotto al Taj c’era una statua di Shiva col lingam dell’amore eretto.
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Per chi ricorda le tante tragedie nate in India dall’interpretazione del passato, la storia della statua sotto al mausoleo musulmano ricorda molto da vicino quella del tempio di Ayodhya, anche questo in Uttar Pradesh. Nel ‘92 hindu fondamentalisti dentro e fuori il Bjp decisero di compiere una strage pur di ricostruire quello che consideravano un tempio dedicato al luogo di nascita del dio Rama sotterrato nel basamento della moschea di Babri distrutta pietra su pietra.

Sebbene le rivendicazioni storiche degli hindu si estendano a ben 40 mila luoghi di culto, Swami ha detto che per ora non si vuole demolire né il Taj né nessuno dei tanti altri minareti contestati, in cambio del tacito consenso alla costruzione di soli tre grandi templi, a cominciare ovviamente da quello di Ayodhya, nonostante la memoria degli oltre 1000 musulmani uccisi qui esattamente 25 anni fa.     

Dopo il furore sui social network causato dal delicato capitolo su un passato incerto e spesso manipolato, membri dell’opposizione laica e progressista del Congresso hanno parlato di una strategia mediatica degli ultrareligiosi per distrarre l’opinione pubblica dall’aumento dell’inflazione e dei prezzi che stanno mettendo a nudo l’inefficacia del loro governo diretto da Narendra Modi. Nei commenti e nei post in rete, molti sottolineano il fatto che il premier non sia intervenuto su una polemica di questa portata, nonostante la sua frequentazione di twitter e di facebook con record di followers.

Qualunque sarà la sua posizione, e se la esprimerà o meno pubblicamente, Modi sa bene che fintanto che gli animi si manterrano calmi l’India trarrà alla fine un giovamento in termini turistici dal clamore attorno al monumento, dove vanno a farsi i selfie milioni di fidanzati e sposi con lo sfondo delle  cupole splendenti e del verde dei giardini perfettamente curati nella sobria geometria di aiuole e corsi d’acqua. Oltre alla storia della bella Mumtaz e della devozione che le dimostro’ in punto di morte il marito (un “aiyaaash”, un donnaiolo come tutti i Moghul, ha detto di lui il capo della comunità sciita indiana) le guide potranno adesso aggiungere un po’ di pepe con l’attualità, accennando al piccolo-grande mistero delle vestigia di un tempio hindu del quale finora si era raramente parlato.
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Ma la fiaba di Jahan e Mumtaz sarà a lungo la preferita dai visitatori, anche se qua e là tra le comitive ci sarà sempre qualche ben informato che aggiungerà alla poesia la nota stonata della fine dell’imperatore, imprigionato dal celebre Aurangzeb, il figlio ribelle che lui non voleva sul trono. Jahan Shah morì assistito fino all’ultimo giorno da un’altra figlia chiusa con lui nel Forte. 

Sia che si tratti di amore filiale, nuziale o mistico come nel caso del lingam-fallo di Shiva, sembra dunque uscire confermata la fama del nome attribuito al Taj Mahal dai depliant turistici. Nessuna agenzia si sognerebbe mai per nessuna polemica al mondo di togliere le due notti ad Agra delle promozioni di Incredible India. Con piena soddisfazione di albergatori e impiegati di entrambe le religioni che non hanno mai pensato di dividersi sulle origini di un palazzo che gli dà da mangiare da generazioni e generazioni.