Firenze

Firenze, i prof rubano la tesi alla studentessa e la usano per un brevetto

Condannati dalla Corte dei conti dovranno risarcire l'università. In gioco un innovativo kit per la diagnosi precoce della sclerosi multipla

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Usarono la scoperta di una studentessa per brevettare un innovativo kit per la diagnosi e il trattamento della sclerosi multipla, senza citarla neanche tra i co-autori del lavoro. Loro, quattro professori dell'ateneo fiorentino, Anna Maria Papini, Francesco Lolli, Paolo Rovero e Mario Chelli, tutti impegnati nel laboratorio di alta ricerca Peptlab (di cui Anna Maria Papini è direttrice) sono stati ora condannati dalla Corte dei Conti della Toscana a risarcire proprio l'università, costretta da un sentenza (definitiva) del tribunale civile a risarcire parte dei diritti del brevetto alla giovane scienziata. La corte ha imposto all'ateneo di versare 153mila euro alla studentessa, che adesso è ricercatrice e lavora a Milano. I docenti invece dovranno sborsare 77mila euro per il danno erariale provocato all'amministrazione.

Secondo i giudici contabili, che hanno ripreso la ricostruzione del tribunale civile di Milano - sezione specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale - la giovane ricercatrice aveva individuato un composto chimico (chiamato "scrumble") utile per individuare e trattare la malattia. Tutto durante gli studi per la sua tesi di laurea, coordinata proprio dalla professoressa Papini. La vicenda giudiziaria è iniziata nel 2005, quando la studentessa chiese conto dell'utilizzo delle scoperte contenute nella sua tesi, discussa a fine anni '90, ai professori. Prima tentò, con uno studio romano che lavora nel campo dei brevetti, di far riconosere il suo ruolo. I docenti fiorentini si rifiutarono  e venne avviato il processo civile a Milano. Anche in questa fase i legali della giovane proposero una transazione da 90mila euro, giudicata favorevole dall'Avvocatura dello Stato che stava assistendo l'Università fiorentina. Da parte dei docenti arrivò un altro no. Si arrivò così a sentenza, con il giudice che impose il risarcimento del danno e il pagamento delle spese per 153mila euro alla ricercatrice, assistita dallo studio Floridia di Milano. Era la fine del 2012 e la Corte dei conti iniziò ad analizzare la questione ma si interruppe in attesa dell'appello. La sentenza di secondo grado ha confermato la condanna al pagamento della stessa cifra ed è passata in giudicato nel febbraio del 2016 visto che l'Università di Firenze ha deciso di non presentare ricorso in Cassazione. L'ateneo ha sborsato i soldi ma ora per la Corte dei conti spetta anche ai professori pagare la loro parte del danno.

"La pervicace opposizione alle istanze e alle proposte avanzate conferiscono una connotazione di irragionevolezza alle decisioni prese - scrive adesso la Corte dei conti - smentite dalle perizie e dalle risultanti di ben due gradi di giudizio". Non solo. I giudici contabili chiamano in causa anche il comportamento dello stesso ateneo fiorentino: "Né può sottacersi, peraltro, l'apporto causale dato all'evento dannoso dall'amministrazione danneggiata, cioè l'università degli studi di Firenze, che evidentemente ha condiviso le scelte adottate nel contenzioso instauratosi con la ricercatrice. Ne consegue che (...) le somme richieste ai convenuti vanno ridotte della misura di un quinto". Durante gli accertamenti, il vice procuratore regionale Acheropita Mondera Oranges aveva infatti chiesto di risarcire tutta la somma versata dall'ateneo alla giovane ricercatrice.