Passaparola

Educare alle emozioni Preparare i bambini a gestire correttamente la propria emotività

Un argomento delicato che Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell'età evolutiva,  ricercatore al dipartimento di Scienze biomediche dell'Università  degli studi di Milano tratta con sensibilità nel libro, Educare alle emozioni (fabbri editore)
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La sfida è educare alle emozioni.  Perché, solo preparando i bambini a gestire correttamente la propria emotività, potranno usufruire di quel bagaglio interiore  necessario per vivere al meglio e per relazionarsi con gli altri in modo equilibrato e sereno. E spetta ai genitori, ai nonni,  agli adulti di riferimento riuscire a  sottrarre i bambini a quell'analfabetismo emotivo che è spesso alla base di tanti comportamenti dannosi. Un impegno che deve iniziare fin dai primi istanti di vita del neonato, per proseguire e svilupparsi lungo l'età evolutiva . Ansia  o tranquillità, rabbia o equilibrio: ogni persona sarà quello che l'educazione alle emozioni avrà saputo costruire.  Molti genitori lo sanno. Pochi riescono ad agire sempre di conseguenza.

Che cosa fare allora, o che cosa evitare per vincere la partita? L'educazione emotiva (Fabbri editore) di Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell'età evolutiva,  ricercatore al dipartimento di Scienze biomediche dell'Università  degli studi di Milano e autore di numerosi libri sulla materia, fa finalmente chiarezza sull'argomento e, in modo semplice ed efficace, suggerisce come diventare buoni educatori  e come dimostrarsi capaci di ascoltare le emozioni, quelle nostre e quelle dei nostri figli.

Non è necessario essere genitori speciali o avere chissà quali competenze, avverte Pellai. Per educare davvero serve soprattutto saper  ascoltare, riuscire a percepire lo stato emotivo del bambino, entrare nella sua "sregolazione" interiore. E saper fare chiarezza. Con decisione e autorità, ma anche con dolcezza. E' dunque inutile e controproducente arrabbiarsi per i capricci dei bambini, Mostrare rabbia o stanchezza o mostrarsi confusi aggrava solo la situazione : si deve rimanere tranquilli,  far vedere al piccolo che mamma o papà sanno "addomesticare" e placare la sua "esplosività.

" Sono i genitori con le loro interazioni, ovvero con ciò che dicono e fanno quando il  piccolo sperimenta uno stato emotivo" a fornire ai bambini quella competenza che si struttura, organizza e sviluppa nell'età evolutiva e che poi durerà per tutta la vita.
Più facile a dirsi che a farsi? Preziosi i consigli contenuti nel libro, anticipati nell'intervista che segue; per il resto sono amore e accudimento a far felici i bambini.

C'è un'età per educare alle emozioni?
Quando veniamo al mondo, siamo tutti dotati di un corredo emotivo innato: le emozioni vivono e si accendono dentro di noi in modo spontaneo e automatico. Potremmo perciò dire che l'educazione emotiva comincia fin dal primo giorno di vita. Anzi, già in fase prenatale, la ricerca ha dimostrato che il modo in cui la mamma interagisce con il suo bambino, le parole che gli dice, i gesti con cui rimane in contatto con lui dentro al pancione, la musica che ascolta lasciano un segno significativo sul cervello emotivo del bambino e ne preparano la competenza emotiva. E' chiaro che nei primi mesi di vita, poi, la relazione tra il neonato e gli adulti che si prendono cura di lui costruisce le fondamenta della competenza emotiva che il bambino poi svilupperà in tutto l'arco dell'età evolutiva. Genitori tranquilli, positivi, non ansiosi, capaci di rispondere al pianto del bambino in tempi adeguati e selezionando la risposta giusta in grado di fargli conquistare tranquillità e serenità e riportarlo ad uno stato di calma, stanno - così facendo - "costruendo" le sinapsi nervose che permetteranno a quel bambino di conquistare una buona regolazione emotiva. Un altro momento cardine per l'educazione emotiva del bambino è il periodo intorno al secondo anno di vita, quando lui può autodeterminare - almeno in parte - il proprio comportamento, dire no e intrattenere uno "scontro aperto" con i genitori. Si tratta dei "terribili due anni" (così li chiamano gli anglosassoni) in cui la competenza emotiva può essere conquistata dal bambino solo grazie a genitori autorevoli, tranquilli, sicuri e soprattutto a loro volta ben regolati (ecco perché nel modello dell'educazione emotiva si sostiene la capacità dei genitori di educare il proprio bambino senza ricorrere ad urla e sculaccioni). L'educazione alle emozioni prosegue poi nella scuola dell'infanzia, dove il bambino, grazie all'intervento educativo dell'adulto,  può imparare a riconoscere, discriminare e condividere i propri stati emotivi, nominandoli uno per uno e differenziando, per esempio, la rabbia dalla tristezza, la paura dal disgusto. Ma il lavoro di educazione emotiva per un genitore non ha mai fine. Lo sa bene chi ha in casa un preadolescente: in questa fase della vita, il cervello emotivo del giovanissimo prende il sopravvento e a volte si manifesta con crisi esplosive, urla e vere e proprie montagne russe tra felicità senza freni e una tristezza ingestibile. Anche in questo caso è fondamentale per l'adulto conoscere l'ABC dell'educazione emotiva e comportarsi di conseguenza.

Madri e padri, che fare per essere bravi genitori?
E' a mamma e papà che un bambino implicitamente affida il compito di entrare dentro ai suoi stati emotivi, immergersi nel magma un po' indistinto su cui lui non sa fare chiarezza, sperando che il suo stato di sregolazione emotiva trovi in chi si prende cura di lui la gestione più adeguata e le risposte di cui ha bisogno. Sono proprio i genitori, con le loro interazioni, con ciò che dicono e ciò che fanno quando il bambino sperimenta uno stato emotivo a fornirgli una competenza emotiva, a dotarlo di un'educazione che in età evolutiva si struttura, organizza e sviluppa e che poi durerà per tutta la vita. Ogni genitore dovrebbe essere aiutato (in molti casi, in realtà mamme e papà ci riescono in modo spontaneo e naturale, perché hanno un'attitudine naturale all'accudimento del loro bambino, quello che potremmo anche chiamare istinto materno e paterno) a gestire in modo adeguato ogni schema di interazione emotiva con il proprio bambino. E' all'interno di questo schema  che il bambino impara a dare un valore ai propri stati emotivi, ne comprende il significato e soprattutto apprende come regolarli. Quando il bambino piange è perché uno stato di disagio si accende in lui senza che lui sia capace di poterlo gestire. L'adulto che gli sta a fianco ne intercetta lo stato di attivazione e sregolazione, cerca di comprenderne il senso e la trasforma in gesti e parole finalizzate a promuoverne la risoluzione. In generale l'adulto deve proporre al bambino una risposta speculare e complementare all'emozione che il bambino prova. Se il bambino è triste va confortato, se arrabbiato va contenuto e aiutato a non trasformare la sua emozione in qualcosa di violento che fa male a chi gli sta accanto, se ha paura va fatto sentire protetto e rassicurato. E anche per le emozioni positive, il ruolo del genitore è fondamentale: la felicità per un bambino è tale solo se ha al proprio fianco qualcuno che gli vuole bene e con cui può condividerla.

Qualche consiglio concreto per affrontare le dinamiche tra genitori e figli
Quasi sempre tra genitori e figli le emozioni fanno "male" quando il bambino non trova negli adulti la capacità di "regolare" le sue emozioni impazzite. I capricci dei bambini spesso fanno arrabbiare i genitori e li "sregolano" emotivamente proprio nel momento in cui dovrebbero mostrarsi capaci di rimanere tranquilli e di far vedere al bambino stesso che loro sanno "addomesticare" e placare tutta la sua "esplosività". La paura del bambino spesso porta il genitore a far sentire sbagliato il minore che la sta provando. Dire ad un bambino "Sei un maschio e i maschi non hanno paura di nulla" significa farlo sentire sbagliato di fronte ad un'emozione molto intensa che lui sta provando. Lo stesso succede anche con i bambini che piangono per la tristezza conseguente ad un lutto. "Sole le femminucce piangono" è un messaggio che impedisce ai maschi di entrare in contatto con la propria tristezza, sentire che è valida ed ha un senso, passaggi senza i quali il minore non potrà mai elaborare e dare il giusto significato all'intensa attivazione emotiva che ha sperimentato. Di fronte ad ogni emozione del bambino, perciò, l'adulto deve entrare nel ciclo di regolazione emotiva che consiste in sei tappe:

1. attivazione dello stato emotivo nel bambino (il bambino sperimenta un disagio che non sa gestire)
2. comunicazione dello stesso da parte del bambino ad un adulto con modalità non verbali (per esempio, il bambino piange) e solo nella seconda infanzia anche attraverso modalità verbali
3. intercettazione da parte dell'adulto dell'alterazione dello stato emotivo del bambino (l'adulto intercetta lo stato di disagio del bambino e comincia a selezionare la risposta con cui cerca di gestirlo, sostenerlo e/o contenerlo)
4. offerta di una risposta basata su gesti e parole che soddisfino il bisogno emotivo espresso dal bambino (l'adulto tra le molte cose che può fare, individua e mette in atto quella che gli sembra più adatta ad aiutare il bambino in quel momento  e che meglio risponde ai suoi bisogni)
5. sperimentazione da parte del bambino della risoluzione del proprio stato emotivo (il bambino smette di piangere e comunque affievolisce il proprio stato di attivazione emotiva fino a calmarsi)
6. conquista nel bambino di un'esperienza di appagamento e soddisfazione che lascia nel corpo la percezione chiara che il suo stato di sregolazione emotiva è stato "risolto" grazie all'intervento competente dell'adulto.

Alberto Pellai
L'educazione emotiva
Fabbri editore
Pagg.201, euro 19Pellai