Spettacoli

ANNIVERSARI

'Good morning, Vietnam', l'urlo di Robin Williams che raccontò la verità agli americani

Il 23 dicembre 1987 usciva in sala il film su Adrian Cronauer, il dj spedito a Saigon per rallegrare le truppe Usa che l'attore trasformò in un eroe. Fu la prima commedia sul Vietnam e quel ruolo rivelò il suo talento geniale

5 minuti di lettura
Good morning, Vietnam diretto da Barry Levinson usciva per la prima volta in sala, negli Stati Uniti, trent'anni fa, il 23 dicembre 1987. Robin Williams non c'è più e allontanare questo pensiero dalla mente non è per niente facile, non se si parla di questo film. Vestendo i panni di Adrian Cronauer, dj dell'aviazione spedito a Saigon per rallegrare l'umore delle truppe americane in Vietnam, infatti, è come se Williams ci rivelasse di avere dei superpoteri: fino a quel momento i suoi film avevano avuto un discreto successo, ma è con Good morning, Vietnam che il librone della storia del cinema si arricchisce di un nuovo nome scritto in maiuscolo e grassetto e sottolineato pure. La gestualità, i giochi di voce, i flussi di coscienza molto spesso improvvisati, l'ironia: è un uomo a fare il film. E se pure non riconosciuto ufficialmente (per quel ruolo Williams vince il Golden Globe, ma nominato all'Oscar come miglior attore protagonista, manca il maggiore riconoscimento cinematografico), con il pubblico è tutta un'altra storia: Robin Williams lo conquista tutto, con un effetto speciale, naturalmente, su chi nell'Afvn, la rete di programmi radiofonici e televisivi delle forze armate statunitensi in Vietnam, ci aveva lavorato.

Robin Williams: la dedica ai soldati in "Good morning, Vietnam"


La prima commedia americana ambientata in Vietnam Era stato il vero Adrian Cronauer a proporre, per primo, ad alcune reti televisive statunitensi, l'idea di realizzare una sitcom che raccontasse la sua esperienza di disk jockey tra i militari. Ma no, niente da fare. Erano passati più di dieci anni dalla fine del conflitto, ma della guerra in Vietnam non si poteva parlare sorridendo; non ci si poteva ambientare una commedia in Vietnam. Poi, è sempre lui a prendere in mano la situazione: Robin Williams aveva sentito parlare dell'idea, gli era piaciuta, per questo motivo inizia a lavorare non sul progetto per la tv, ma a un adattamento cinematografico della storia, coinvolgendo quello che sarebbe stato lo sceneggiatore del film, Mitch Markovitz. In un'intervista sul set, nel 1987, alla domanda diretta se fosse passato abbastanza tempo, se il mondo fosse pronto per una commedia sul Vietnam, Williams rispose: "Spero proprio di sì, quanto tempo hanno fatto passare prima di realizzare Gli eroi di Hogan?". Il riferimento è a una serie tv che con ironia descrive la vita di tutti i giorni di un gruppo di prigionieri di guerra in un campo nazista, trasmessa dal 1965. "Una commedia umana è semplicemente uno dei modi con cui affrontare i ricordi" aveva poi aggiunto Williams.


Un po' di studio, un po' di improvvisazione e il genio Per il ruolo dello speaker radiofonico eccessivo, fuori controllo, irriverente e divertente, Robin Williams naturalmente si prepara e non poco. Legge diari di guerra, dispacci e ascolta vecchie registrazioni di trasmissioni condotte dai soldati americani. "Non so dove trovasse il tempo di informarsi così a fondo al punto da entrare nel cuore di qualsiasi dibattito" confessa Mark Johnson, il produttore del film, in un'intervista a Hollywood Reporter. "Potevi proporgli qualsiasi tema; Robin partiva con i suoi monologhi, improvvisando, ed era incredibile. Come poteva sapere quali erano gli animi dentro il ministero dell'Agricoltura?". La decisione di consegnare al protagonista un copione fatto solo di idee imprecisate, in modo che una volta davanti al microfono lui avesse totale libertà di attingere alla sua fantasia, è risultata la scelta giusta perché, di fatto, ha consegnato a noi tutto Robin Williams, anche quello che fino a quel momento non era emerso negli altri film. Contenti noi, quindi, ma non lui che non era mai soddisfatto. "Si svegliava la mattina - continua Johnson - dicendo: dobbiamo rifare tutto quello che abbiamo fatto ieri. Pago io il lavoro extra. Gli rispondevo che era un pazzo, che aveva lavorato benissimo".


Il Cronauer di Williams spazia dal sesso, alle condizioni meteorologiche dei tropici, alle leggi dell'esercito, fino alla politica. A intervalli regolari, intervista i personaggi che abitano la sua mente. Leo, ad esempio. Lo stilista ufficiale delle forze armate, impegnato nella propria battaglia contro il camouflage. Ma è quando l'ironia di Cronauer si scaglia sull'allora ex vice-presidente Nixon che gli imbarazzi e i nervosismi dei suoi superiori iniziano ad assumere il carattere dell'insofferenza. E tanto cresce la loro insofferenza tanto aumenta il gradimento di Cronauer tra i militari che, durante le sue dirette, possono finalmente respirare. La seconda volta, quella che poi gli costerà il lavoro lì a Saigon, è quando si rifiuta di subire l'ennesima censura e trasmette la notizia dell'esplosione di una bomba nel bar di Jimmy, il bar frequentato perlopiù dai militari americani. "Cronauer era veramente divertente tanto quanto vera era la censura - diceva Williams - se un ristorante saltava in aria e lui lo raccontava in radio, gli spegnevano il microfono". Cronauer quello vero, da parte sua, usa parole incantate per descrivere l'interpretazione di Williams "non mi sono mai nemmeno avvicinato alla sua comicità. Era un genio della risata". Genio, questa stessa parola l'ha usata pure il regista di Good morning, Vietnam in riferimento a Williams: "Era straordinariamente divertente, ma non come potrebbe esserlo un'altra persona. Lo era oltre ogni immaginazione. Come ci riusciva? Da dove gli veniva? Non ci sono risposte, il genio non può essere spiegato".


La radio e il rock and roll La disinvoltura e la naturalezza di Robin Williams una volta indossate le cuffie e davanti al microfono, in quella che poi è diventata l'immagine iconica del film, con lui che, tonsille in vista, è pronto a gridare il suo buongiorno, il suo "Gooooodmorning Vietnam" ai soldati, è tutto ciò che aspira a possedere qualunque speaker radiofonico. Ma che, appunto, difficilmente è una cosa che si impara, o ce l'hai o non ce l'hai. A dirla tutta, era pure la parte che terrorizzava il doppiatore italiano di Williams, Carlo Valli: "Non sapevo come fare, lui era incredibile, pieno di inventiva. Davanti al microfono non prendeva mai fiato, era a getto continuo, un vulcano". Con la stessa naturalezza, Cronauer, accomodatosi nella sua postazione, lancia fuori dalla finestra tutti i dischi che erano passati fino a quel momento sulle onde di radio Saigon: i vari Percy Faith, Bing Crosby, Perry Como e Mantovani. La musica in Good morning, Vietnam è tutt'altro che sottofondo. Anzi, quando partono i brani rock and roll e pop selezionati da Cronauer sono loro che diventano i protagonisti, e gli esseri umani si riducono al ruolo di comparse alle quali, al massimo, è concesso di ballare. Ecco allora tornare Bob Dylan, fino a quel momento considerato uno "fuori posto" o i Beach Boys, "non adatti". E poi naturalmente What a wonderful world di Louis Armstrong. Quella è una delle scene più forti del film perché mentre Armstrong ci dice che vede alberi verdi, rose rosse, arcobaleni e gente che si stringe la mano, quello che vediamo noi è il Vietnam del 1965: sangue, bambini in lacrime, fucilazioni e violenza.


Ma anche la politica e l'amore Perché sì, Good morning, Vietnam sarà pure una commedia ma non è certamente acritica, i giudizi sulla politica americana e sul conflitto, anche quando non espliciti, emergono. Soprattutto nel momento in cui Cronauer ha a che fare con la censura, quando si scontra con la questione della razza, con le differenze tra americani e vietnamiti e quando fa esperienza diretta della guerra, con gli attentati o quando prova a spingersi sul fronte. Questi momenti coincidono anche con i tentativi che farà di utilizzare il suo microfono per raccontare la verità all'America. In una delle sue finte interviste, ad esempio, chiede a un soldato se hanno scoperto chi è il nemico. "Abbiamo notevoli difficoltà" risponde lui, "e allora come farete a capire chi è?" incalza Cronauer. "Glielo chiederemo". La differenza tra le culture, poi, è anche un problema quando ci si mettono di mezzo i sentimenti. L'amore non è affatto un tema centrale del film, ma quando Adrian Cronauer cerca di avvicinare Trinh, la ragazza vietnamita per la quale prova qualcosa, nonostante lei gli faccia notare solo la difficoltà, se non proprio l'impossibilità, di una loro relazione in quanto "diversi", ecco che si consumano due dei dialoghi più belli di tutto il film. Uno è quello che precede la partenza di Cronauer, l'altro è questo: "Io accetto quello che mi puoi dare perché anche solo stare con te mi rende felice. Ti va di vedere un film?".