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Attentato a Istanbul: "Colpiamo Costantinopoli", l’ultima guerra del Califfo contro Erdogan

(ap)
La strategia. Molti analisti avevano previsto che lo Stato Islamico stesse preparando un attentato per colpire la Turchia e mettere in crisi il turismo
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IL MESSAGGIO apocalittico del Califfato ha sempre avuto un obiettivo finale: la conquista di Costantinopoli. Un bersaglio simbolico, che adesso diventa reale con l’attacco contro l’aeroporto di Istanbul. Non ci sono rivendicazioni e le autorità non si pronunciano sulla matrice dell’attentato, ma tutti gli elementi fanno pensare a un’operazione dello Stato islamico. Una strage attesa sin dall’inizio del Ramadan, quando molti analisti hanno segnalato il rischio che gli strateghi del terrore stessero per colpire la Turchia.

Fino allo scorso inverno, l’Is ha risparmiato il potente vicino, fondamentale per la gestione dei traffici che permettevano la sopravvivenza del Califfato. Da lì arrivavano volontari europei, munizioni, armi, pezzi di ricambio e soldi, soprattutto i ricavi del contrabbando di petrolio che ha alimentato una rete di alleanze nell’ombra tra Mosul e Ankara: la frontiera turca era il polmone dello Stato islamico. La pressione americana e russa ha obbligato Erdogan a cambiare passo. Dallo scorso ottobre i bombardamenti aerei dei due paesi hanno spazzato via pozzi e cisterne usati dai trafficanti di greggio, svuotando le casse dei fondamentalisti. L’esercito turco ha preso il controllo dei valichi usati dalle reclute per raggiungere la Siria e ha ridotto la pressione contro i reparti curdi dello Ypg, i trionfatori di Kobane che ora guidano l’offensiva contro Raqqa, marciando assieme ai commandos statunitensi.

Per questo adesso i miliziani con la bandiera nera hanno un triplice motivo per colpire Istanbul. Far pagare a Erdogan il “tradimento della causa islamica”, che ha aperto la Turchia agli stormi americani e ai campi di addestramento per la resistenza siriana. Mettere in crisi il governo di Ankara azzerando il turismo. Trasmettere un segnale di attivismo nel momento in cui le brigate del Califfato si stanno ritirando su tutti i fronti, in Siria, in Iraq e in Libia: perdono terreno ovunque da Falluja a Raqqa, da Mosul a Derna. E cercano di rispondere alle sconfitte sul campo con attentati clamorosi, che rilancino in tutto il mondo il messaggio di morte.
Istanbul è l’obiettivo più importante, per il valore simbolico che nasce dai testi apocalittici attribuiti agli eredi di Maometto: la battaglia che deciderà il destino dell’umanità è attesa nella piana di Daqib tra i “romani”, ossia i “bizantini”: uno scontro finale per la conquista di Costantinopoli, l’ultima Roma, quella che dodici secoli fa era la capitale della cristianità. Oggi è cambiato tutto, ma non i versi che ispirano la propaganda del Califfato e che chiamano al martirio per portare a compimento la stessa missione.

Il primo affondo dell’Is c’è stato alla fine del 2015 ad Ankara. Istanbul invece è stata già colpita a gennaio e marzo, cercando di uccidere turisti stranieri in modo da amplificare il risultato mediatico degli attacchi e stroncare il mercato delle vacanze. Poi hanno preso di mira anche le forze armate turche, assaltando con un camion bomba un check point a Gaziantep e lanciando razzi contro una caserma a Kilis. Stando alle prime informazioni, ieri sera l’irruzione nell’aeroporto internazionale voleva seminare morte sia tra i viaggiatori che tra la polizia militare: i kamikaze si sono fatti esplodere in prossimità dei metal detector, dove si trova il presidio della gendarmeria, e hanno aperto il fuoco con i kalashnikov.

Stando alle previsioni formulate dagli esperti dell’Institute for the study of war, la campagna del Califfato contro la Turchia è destinata a intensificarsi. Cercando di reclutare kamikaze tra i rifugiati siriani e di spingere gruppi fondamentalisti turchi a prendere le armi contro Erdogan, il presidente che proprio due giorni fa ha annunciato la ripresa delle relazioni con Israele.