Parla con lei

L’orrore buio della stanza blu

di MICHELA MARZANO
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Se ne è parlato poco. Forse anche perché di notizie importanti e drammatiche ce ne sono state molte la scorsa settimana. E la vita - lo sappiamo bene- è fatta anche di selezione e di gerarchie. Non si può sempre parlare di tutto. Non si può dare lo stesso spazio alle varie notizie. Sono la prima a riconoscerlo e a criticare il “tutto” che si trova su Internet, senza alcuna forma di gerarchizzazione e senza filtro. E a considerare che il ruolo dei giornali consista anche nel selezionare le notizie più importanti.

Eppure non posso non tornare sulla tristissima vicenda dei giovani ospiti della Casa di Alice - il centro socio educativo riabilitativo di Grottammare - che sono stati liberati la scorsa settimana dai carabinieri di San Benedetto del Tronto. Bambini e ragazzi autistici denudati, picchiati e tenuti sequestrati in una “stanza di contenimento”. L’orribile “stanza blu”, di soli 7 metri quadrati, dove relegare chiunque mostrasse comportamenti violenti. Eppure di violenza, in questi bambini e in questi ragazzi, non ce n’era, come spiegato dal PM e dai carabinieri nel corso di una conferenza stampa. Allora perché rinchiuderli, terrorizzarli, privarli di libertà?

È l’ennesima vicenda di maltrattamento di chi, fragile, è spesso in balia della cattiveria umana, potrebbe commentare qualcuno prima di passare alla notizia successiva. Prima di trincerarsi, nonostante le migliori intenzioni, nell’indifferenza. Non sono sicura, però, che sia il modo migliore per cambiare la società ed evitare che, appunto, episodi di questo tipo si riproducano. Perché l’indifferenza non può far altro che alimentare l’indifferenza. Ed è solo la denuncia costante e l’indignazione che possono permetterci di cambiare le cose.

John Stuart Mill, spiegando la natura e il significato dell’indignazione - che per il padre del liberalismo politico è ciò si prova quando si è confrontati alle offese e ai torti - mette in relazione questo sentimento morale con il bisogno di giustizia. Quello stesso bisogno di giustizia che si ritrova in uno dei passaggi più belli dell’Ecclesiaste. Dopo aver constatato come nel mondo sia spesso l’iniquità a trionfare, è con profonda compassione nei confronti della sofferenza che Qohelet esclama: «Mi son messo a considerare tutte le oppressioni che si commettono sotto il sole; ed ecco ho visto le lacrime degli oppressi, i quali non hanno chi li consoli, e dal lato dei loro oppressori la violenza, mentre quelli non hanno chi li consoli» (Ecclesiaste, 4 1-3). Quello di Qohelet è un urlo di dolore che nasce di fronte alle lacrime delle vittime. Un lamento poetico che dà voce a chi, oppresso, la voce sembra averla persa. In fondo è da qui che si dovrebbe ripartire per capire la genesi della giustizia. È da qui che si dovrebbe ripartire per combattere l’indifferenza ed evitare che i più fragili continuino a subire violenza e maltrattamenti.

Ci sono cose che non dovrebbero accadere. Cose che non si dovrebbero nemmeno pensare. Eppure accadono. E a pagarne le conseguenze sono sempre i soliti: chi non ha la possibilità di difendersi; chi soffre; chi è disabile. Ecco perché solo una società capace di indignarsi di fronte a tutte le “stanze blu” che continuano ad essere costruite può dirsi “decente”. Nonostante le tragedie che accadono settimanalmente siano tante. Nonostante le priorità possano, per molti, essere altre.
Twitter: @MichelaMarzano