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MUSICA

Serge Gainsbourg, l'eretico della canzone che Mitterrand definì "il nostro Baudelaire"

La musica e il cinema. La poesia e l'arte pittorica. Le donne e la pornografia. La sfrontatezza e le intuizioni. I vizi e la morte. La pubblicazione di un prezioso box con i suoi primi, ispirati quattro album, riaccende i riflettori sull'artista iconoclasta amatissimo dalle donne, dalla Bardot a Jane Birkin

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QUANDO si dice una faccia da schiaffi. Quelle di Serge Gainsbourg sulle copertine dei suoi primi quattro ellepì, appena ripubblicati in un accurato box dalla barcellonese Jackpot Records (e portati in Italia da Egea), sarebbero perfette per un manuale sull'argomento. Con mazzo di rose e revolver sul tavolo, con lo sguardo da latin lover negli occhi, in un primissimo piano che rivela barlumi di fragilità, di profilo in controluce perso in chissà quali pensieri. Distaccato, sfacciato e sicuro di sé fino ad un'arcana ineffabilità. Una faccia da poker, la cui bocca, anche chiusa, pensi possa parlare solo francese. Una faccia che, giovane, aveva l'aria da duellante d'altri tempi o da sbruffone di quartiere: lineamenti marcati, capelli cortissimi, occhi neri dallo sguardo altero e, soprattutto, la bocca grande e carnosa, le grandi orecchie a sventola. Che all'alba del suo successo, primi '60, fu preso assai poco seriamente di mira dalla stampa musicale.

Quella di Gainsbourg era una tipica faccia da "brutto che piace" stile Jean Paul Belmondo. Piacevano infatti moltissimo, lui e Serge. Ed entrambi, pur così diversi, ad alcune delle donne più belle del mondo. Come la BB che, già (s)oggetto del desiderio planetario, cadde fra 1967 e 1969 - in mezzo alla liberatoria allegria sessantottarda - nella rete di quel giovanotto ebreo di bellissime speranze. La cronaca riferisce che i due, incontratisi nel '67 in tv al "Sacha Show" dell'allora celebre cantante e attore Sacha Distel, duettarono nel classico di Bacharach Raindrop Fallin on My Head, fortunatissimo tema di Butch Cassidy di George Roy Hill. Fu il più classico dei coup de foudre. La passione irruppe come una piena nelle traballanti vite sentimentali sia della Bardot, all'epoca maritata col noto playboy e fotografo tedesco Gunther Sachs, che di Serge. Il quale dopo aver sposato nel 1951 Elisabeth Levitsky, modella conosciuta fra l'Accademia di Belle Arti e il giro parigino di Dalì quando ancora non aveva scelto fra pittura e musica, se n'era poi separato nel '57. Per poi risposarsi, 1964, con l'aristocratica Béatrice Pancrazzi. Che quell'anno gli darà la prima di quattro figli, Natascha, commettendo però l'imperdonabile errore di volerlo tutto per sé. Impossibile chiedere a quell'irresistibile giovane parigino straripante vita, di metter da parte musica, pittura, letteratura, cinema -  e passioni, con quella per le donne, di tutta la vita - e la relazione con Juliette Gréco. Alla quale, ancora poco noto fuori dalle jazz cave rive gauche, donava, come fece ad esempio col sofferto, imperituro classico La javanaise, le sue canzoni. E probabilmente non solo quelle.
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Un piccolo ebreo con la stella gialla. Fin dall'inizio furono le donne, come la filosofa e poi produttrice tv Michéle Arnaud, che gli farà avere i primi seri ingaggi nei nightclub, a far da bussola nell'agitatissima vita di Gainsbourg. Sarà così fino al suo ultimo respiro, il 2 marzo 1991. Quando depresso, solo, quasi cieco e disperato, morirà del secondo infarto. Incoercibile esteta e provocatore raffinatissimo, capace però d'esser pure platealmente volgare, quell'aristocratico teppista, dopo il primo attacco di cuore, nel 1973, a 45 anni, s'era fatto portare via in ambulanza dalla sua dannunziana casa-museo su Rue Verneuil, nella super trendy St. Germain (saranno anche l'ossessione per il nero e l'ordine inappellabile in cui tutto vi era disposto ad allontanare per sempre Jane Birkin), a condizione d'avere addosso una sua scicchissima coperta di Hermes: "quelle dell'ospedale son troppo brutte". Mentre alla conferenza stampa della sua dimissione annunziò, per la gioia dei media, che avrebbe ridotto il rischio di un nuovo colpo "aumentando il consumo di alcol e sigarette". Vicino al suo letto furono trovate svariate bottiglie di whisky e cicche. La cura era già iniziata. Ironico e tagliente fino al sarcasmo più feroce, iconoclasta militante, sospettabile a volte del peggior cinismo, Gainsbourg era in realtà un sincero passionale, un insicuro intelligentissimo, colto e istintivo, tragicamente, consapevolmente autodistruttivo, fragile come un cristallo di Boemia. E, prima di modificare il cognome in onore del pittore inglese Thomas Gainsborough e il nome nel più russo Serge ("tutti i parrucchieri si chiamano Lucien"), come il Lucien Ginsburg che era stato. Il bambino nato a Pigalle il 2 aprile 1928, da una famiglia di ebrei russi, che dal '41 al '44, coi documenti falsi ottenuti dal padre, poté con essa nascondersi a Limoges, costretto a portare sugli abiti come un appestato la stella gialla di David. Non pare poi troppo peregrino dunque, cercare anche in quella mostruosa sopraffazione una delle molle che scatenarono nel Serge adulto il non negoziabile imperativo di rivalsa che plasmò in un mondo che o era a sua immagine e somiglianza o non era affatto, nella brama insaziabile, quasi una bulimia, d'amore, come quella indisciplinata e autodistruttiva. Sublimando nello scandalo perenne che s'impegnò a dare, la sua guerra privata contro un mondo che inevitabilmente, a lui ch'era stato braccato per venire eliminato invece di studiare e giocare coi coetanei, gli risultava gretto, attaccato com'era a quelle certezze pret a porter tipiche dei piccolo borghesi, che dell'infamia nazifascista eran stati complici, o almeno fiancheggiatori omertosi.

Boris Vian, il grande amico. Per non fare dello sterile autobiografismo, di fronte all'enormità della sua riuscita è però decisivo ricordare che Serge fu anche benedetto da un gene ch'ebbe forma di molti e limpidi talenti. Su tutti, anche se la definizione, c'è da giurarci, non gli sarebbe piaciuta, quello di intellettuale magnificamente contemporaneo. Figlio ed erede in questo del suo primo, decisivo mentore Boris Vian, al quale deve anche il primo contratto discografico e un appoggio critico senza condizioni. E come lui votato a una caustica surrealtà della narrazione, ad una pressoché illimitata tavolozza di mezzi espressivi. Figlio di un pianista, Serge, autentico rabdomante e rapsodo del ventesimo secolo, incanalò da subito quei talenti in ciò che ebbe di volta in volta a portata di mano. Come il pianoforte di casa, che apprese da autodidatta, o la vocazione pittorica, amorosamente coltivata con gli studi ufficiali e di fatto mai abbandonata. Poi arriveranno la musica da professionista, che dai toni iniziali di poco convenzionale chansonnier volerà in fretta fino alla profetica complessità di compositore e arrangiatore dall'insaziabile curiosità, estremo gusto e sconfinata versatilità, le colonne sonore, il lavoro d'attore, le regie, la scrittura.
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I primi quattro dischi, profezie d'autore. Se c'è un tratto forte che accomuna i primi 4 dei suoi 17 ellepì ora rieditati  -  Du chant a la une!, 1958, N° 2, 1959, L'etonnant Serge Gainsbourg, 1961, e Serge Gainsbourg No. 4, 1962 - dalla Jackpot, che ne presenta i 36 originali con 18 bonus fra ep, live, strumentali, temi per il cinema e singoli concepiti per organici dalla grande orchestra al duo, è l'incantevole, seducente scioltezza con cui Gainsbourg entra ed esce dai generi. C'è un senso di fresco, fanciullesco divertimento in quei brani e in quegli arrangiamenti (audio di qualità), vertiginosi eredi, anche nella qualità delle esecuzioni, dell'antica assiduità francese col jazz. Un piacere contagioso che come molto di ciò che accade nei primi anni della vita ha a che fare con possesso e libertà. Attraverso le musiche Gainsbourg possiede la Musica. I generi sono i suoi mattoni del Lego, che smonta e rimonta a suo piacimento. Mezzo secolo fa. E non risulta che abbia mai parlato di contaminazione. Prima di lui e fra i tanti, pure Berio, Bartok, Mahler, Brahms, Rossini o magari Haydn, al quale non è difficile ricondurre la moderna pratica del prestito da fonti altre rispetto alla classica. Per non parlare del jazz che dell'inglobare tutto ciò che incontra sulla sua strada ha fatto la più grande risorsa. Con quella souplesse Gainsbourg modella un caleidoscopio di suoni e atmosfere in un technicolor avanzatissimo per il suo originario milieu canzonettaro. Del quale espande a dismisura possibilità e risultati. E nel quale il suo gusto eterodosso, la ludica, eretica musicalità e la sfrontatezza da inafferrabile camaleonte che sa di potersi reinventare quando vuole, legano benissimo i così disparati e deliziosi numeri di varietà coi quali compila i dischi. Dominati dai tempi medi e veloci dei superbi arrangiamenti del fedelissimo Alan Goraguer, e dalla seduzione d'un canto istrionico, tagliente e divertito, dal colore già caldo che sigarette, alcol e solitudine trasformeranno in un cupo soliloquio color ruggine. Come quella che si deposita su una vita ormai in stallo.

Un etereo turbine ancora oggi emana da quei solchi, danzando leggero e magistrale sognando l'America dei film noir di Jean Pierre Melville fra chanson e jazz, swing, valse musette o beat latini, bozzetti pseudo western, scanzonati ballabili, ironici twist e teatrali marcette. E ancora, fra improvvise dissonanze, mambi e cha cha cha, charleston ammodernati o effetti da cartone animato. Un manuale di musica fantastica fra Henri Salvador e Jimmy Smith, come quelli che dai Calexico a Howe Gelb, da Eels ai Sacri Cuori, oggi incendia l'immaginazione di tanti musici e rispettive platee. Subito segnati dall'insana passione per i calembour più acrobatici e sconvenienti che, al pari del proverbiale humor nero, lo accompagneranno tutta la vita, i testi sono duri e malinconici, soffertamente quotidiani. Come nell'allora rivoluzionario bozzetto del bigliettaio di tram aspirante suicida della toccante Le poinçonneur des Lilas e dell'analoga Ce mortel ennui, o ironicamente autobiografici, vedi Requiem pour un twister che sghignazza tagliente sulla comica morte, stecchito dal suo tanto amato ballo, di un fan del twist, la cui moda, e più ancora l'avvento del rock, stavano relegando Gainsbourg in un angolo. O la ben più cruda Alcool, il cui titolo non ha certo bisogno di spiegazioni.

Alla scoperta della sua Africa. Mentre il muscolare rivale Johnny Halliday strilla, corre, salta, indossa abiti e canzoni da macho rock, l'intellettuale Gainsbourg (barthesiani "miti d'oggi", avranno due sosia pronti a scannarsi coi pugni e in tribunale) va avanti come la favolosa Chimera ch'è sempre stato. Capace ad ogni impasse di rinascere, spiazzando tutti, dalle proprie ceneri. È quel che fa nel 1964 quando, in piena Beatlesmania, sprofonda nell'Africa di Gainsbourg Percussion. Che al piano del fondamentale Goraguer affianca un coro di dodici ragazze, fra loro anche una debuttante France Gall, futura stellina del più ovvio pop e baby vincitrice dell'Eurovisione nel '65 con un brano di Serge (Poupée de Cire, Poupée de son), e cinque percussioni. Cui affida anche tre composizioni del nigeriano Babatunde Olatunji, adorato fra tanti da Coltrane e Ellington, Santana e Spike Lee, e autore del primo album di musica africana della storia, 5 milioni di copie nel '59. Gainsbourg, che pure scorda di attribuirgli la paternità dei brani - una delle poche volte in cui si fa molta fatica a perdonarlo - ha comunque grandi antenne: intuisce e anticipa, se in ritardo recupera spiazzando, con le mode gioca e si diverte. Il successo gli interessa poco o punto. Scrive anche per gli altri, anzi altre.
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Dagli anni dello ye ye in poi lo farà per la musa godardiana Anna Karina, l'irresistibile Françoise Hardy, una giovanissima Vanessa Paradis, cui confeziona l'album del debutto, Isabelle Adjani, alla quale regala Beau oui comme Bowie, altro esempio di calembour, ispirato a David Bowie. E ancora Deneuve, Dalida, Petula Clarke. Nel'69, sul set del film Slogan, incontra Jane Birkin, da poco separata da John Barry, da 007 in poi superstar della musica da film. Come con la Bardot, dopo una imbarazzantissima défaillance al primo incontro, nasce l'altro grande amore della sua vita. E l'ultimo. Col quale, dal '70, entra nella sua fase più creativa e cupa, quella dei concept album, tipica creatura dell'era psichedelico-prog. Esce il capolavoro Histoire de Melody Nelson, la cui storia nasce dall'acquisto (vero) di una vecchia Rolls Royce, della quale Serge si vanterà di usare solo il portacenere. Mentre Vue de l'exterieur, concept tutto anale del 1973, dopo il primo infarto e la nascita della figlia Charlotte, fa impennare lo scandalometro. Dopo averlo surriscaldato nel mondo intero con Je t'aime... moi non plus scritta per BB, incisa anni dopo con Birkin e divenuta nel '76 il film omonimo in cui Jane è una molto androgina fanciulla che fa innamorare un gay. A rincarare la dose, nel '75 arriva Rock Around the Bunker, un tosto rock blues dopo un lungo flirt con le orchestre che s'immerge nell'umor nero, curiosamente maldigerito dai più, di un ebreo che bambino aveva portato la stella gialla e ora, da adulto, vuol fare a modo suo i conti col nazismo, cantando di SS drag queen che danzano nella Notte dei lunghi coltelli o di Eva Braun con loro transfuga nell'Uruguay del dittatore Alfredo Stroessner.

La Marsigliese a tempo di reggae. Nel '76 è la volta di L'homme a la tete de chou, morbosa vicenda di eros e thanatos fra la nera Marilou e l'uomo-cavolo. Tre anni dopo Serge sonda anche il reggae. Lo spingono la felice intuizione del produttore Philippe Lerichomme e il bisogno di allontanarsi dalla morente relazione con Jane; in quel periodo cercherà il suicidio nella Senna, di lì a poco se ne andrà col regista Jacques Doillon. A differenza del disco africano, Serge va sul posto e si mette nelle mani di Sly Dunbar e Robbie Shakespeare, allora come oggi stellare ritmica reggae e non solo. Pure Rita Marley e le I-Threes, storico coro di Bob, son della partita. Dalla Giamaica Serge torna a casa con una nuova identità: Gainsbarre, il suo Hyde, cui appiopperà eccessi e scandali provocati dal cattivo ch'è in lui, mentre il buon Dr. Jekyll esiste e resiste incompreso sotto le spoglie di Gainsbourg. Che dal viaggio, col quel preoccupante principio di schizofrenia, riporta per fortuna pure Aux armes et caetera. Acido catalogo di provocazioni a base di sesso, alcol e droghe, sputate in faccia al perbenismo da un uomo che sente la fine del suo grande amore. E con quella, la ghigliottina di una paurosa solitudine che in un crudele ralenti cala sulla sua testa e sul cuore ormai disastrati. C'è persino una Marsigliese in levare sul disco, altro ceppo gettato sul falò sempre acceso degli scandali di Gainsbourg, che ad ogni buon conto fa anche scoprire il reggae alla Francia. Malgrado le minacce di bombe e attentati dei parà dell'OAS e dell'ultra destra, la cui rabbia per la perdita dell'Algeria si riaccende per quell'affronto all'onor patrio, il tour è un trionfo e il disco vola fino alla formidabile vetta di 600.000 copie. Che Serge non badasse troppo al successo era chiaro in principio, figuriamoci adesso. Fu lo stesso un bel tonico per quel Fantomas della musica popolare contemporanea, che come ogni artista non può fare a meno delle attenzioni del pubblico e (anche se magari meno) della stampa.
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Un eretico pieno di talento. Seguiranno altri amori, altri figli, molta tv e molti dischi: suoi, ma solo 4 gli ellepì in studio e 3 i live dal '79 alla morte nel '91, molti di più quelli scritti per altri, anche Jane, cui continua, ricambiato, a voler bene. E poi altre regie, il saldo è di sette. Trenta invece i ruoli (anche per Marcel Camus e Abraham Polonsky), circa quaranta le colonne sonore (tra i beneficiati Godard, Doniol-Valcroze, Chabrol, Leconte, un "Cesar" postumo, '95, per Elisa di Jacques Becker; postuma anche l'onorificenza di Ufficiale dell'ordine delle arti e delle lettere, 1985) e un romanzo, Gasogramma. Autobiografia iperastratta, tuttora attuale foto di gruppo della comunità dell'arte e dei suoi bluff, come il protagonista, l'alter ego pittore Evguènie Sokolov che assurge a gran fama dipingendo coi propri peti. Un altro scandalo. Piccolo però se confrontato con gli altri. Sempre più disperati, sempre più solitari. Nel 1984 la banconota da 500 franchi bruciata in tv, che in Francia come in Italia è reato, inveendo contro l'iniquo fisco; il singolo Lemon incest inciso lo stesso anno con Charlotte dodicenne, che nel video appare seminuda su un lettone accanto a lui senza maglietta, mentre il ritornello di quell'hit milionario ammicca "il tipo d'amore che non faremo mai insieme"; la figuraccia del 1986 con Whitney Houston, alla quale fa sapere in prime rete tv nel suo miglior inglese di "volerla scopare". O, sempre quell'anno, il film Charlotte forever, da lui scritto e diretto, sulla vicenda - fin troppo palesemente autobiografica - di una ragazzina, sempre Charlotte, che vive con il padre vedovo e alcolizzato, fra allusioni incestuose e tendenze suicide; si preoccupò poi, dal padre innamorato e leale che era, di tirarla fuori dalle dure reazioni del pubblico scrivendole il disco omonimo in cui duettano con commovente intensità.

In sintonia con Miles. Già gli scandali, morali, filosofici, artistici, religiosi: ne è piena la storia della cultura. Gainsbourg ne ispirò un'infinità, sempre però nati dalla sfida, dal suo preciso talento di guerrigliero contro le vessazioni d'ogni mediocrità e perbenismo. Mai li scelse ad arte, anche se ne conosceva alla perfezione e seppe usare, come della tv, il fortissimo potere di attrazione. Li perseguì piuttosto, secondo la prescrizione di Baudelaire su cosa il vero dandy debba fare: darsi da sé le proprie regole, come più o meno afferma il poeta negli Scritti di estetica. Pare questa la chiave più adatta per entrare nella lucidissima follia di Gainsbourg: il dandismo nella sua originaria, nobile e drammatica accezione di cavaliere solitario, nulla a che fare con il senso, poi acquisito, di elegantone eccentrico e snob (per Baudelaire un impostore e arrampicatore sociale, l'esatto contrario del dandy). Je t'aime... moi non plus in testa - fra scomuniche e veti dal Vaticano alla BBC da una parte, dall'altra i milioni di copie vendute allora e l'incessante adorazione da must senza tempo che avrà fino ad oggi mille riletture e remix - gli scandali di Gainsbourg stavano in buona parte anche nell'occhio di chi li vedeva. Perché, come ricordano le Scritture, "tutto è puro agli occhi del puro". Mentre le sue provocazioni eran così poco volontarie e così tanto necessarie per lui, così mal calcolate nel ritorno, da finir col diventare una scura vernice coprente della immensa, profetica sua geniale contemporaneità. Cancellandone la fertile curiosità d'intellettuale avido di storie inedite e mezzi mai scontati per raccontarle. Come il rap, di cui percepì la rivoluzione metrica rispetto alla canzone (lui che del parlar cantando aveva fatto un marchio di fabbrica), il comune sentire provocatorio e antiborghese: intorno a quelle tangenze, semicieco e regolarmente ospedalizzato, realizzò nell'87 l'ultimo disco. Dal significativo titolo You're Under Arrest. Un'altra profezia, anzi un presagio tutto personale. Come quello di Miles Davis, che nello stesso momento col rap di Doo Wop, pubblicato nel 1992, a un anno dalla morte, aveva come sempre intuito da dove il nuovo venisse e dove andasse. Quando la Francia pianse con gli occhi rossi di milioni di persone la morte di Serge, pochi mesi prima di Davis, 2 marzo 1991, il presidente Mitterrand seppe esaltare l'elegante nazionalismo tipico della nazione. E fece quadrato intorno alla controversa ma incontestata fama dell'artista. Che nel suo discorso funebre definì "il nostro Baudelaire, il nostro Apollinaire". Due termini di paragone così danno da pensare. Primo, al fatto che nessuno, almeno in Italia, avrebbe osato tanto; secondo, che un presidente dei francesi, forse, aveva letto i saggi di Baudelaire.

Omaggi senza fine, il senso della grandezza. A riprova che l'arte di Gainsbourg è sopravvissuta all'equivoca, superficiale popolarità dei suoi scandali e del suo mito spicciolo (si veda l'asta di fine ottobre 2013 a Nantes, in cui furono battuti un suo tagliaunghie, prezzo base 50-80 euro; liste della spesa autografe;  quattro cicche dell'eterne Gitanes in una scatola da audiocassetta e una scatola di fiammiferi, prezzo base 5-700 euro), tante son le fonti cui abbeverarsi per cercar di capire chi sia stato. Assai più seria e interessante la grande mostra alla parigina organizzata nel 2010 alla Cité de la Musique mentre, fra le raccolte di suoi scritti, le interviste e le biografie, si segnalano i quattro libri del giornalista belga Gilles Verlant e il racconto della sua vita firmato Sylvie Simmons, Per un pugno di Gitanes (Arcana, 2004), mentre per addentrarsi nei testi c'è Poesia senza filtro (a cura di Dionisio Bauducco, 2006, Stampa alterativa). Fra i film, per un personaggio pure così cinematografico, non risulta altro che quello eccellente e sofferto che Joan Sfarr ha tratto nel 2010 dal suo omonimo racconto a fumetti, Gainsbourg. Vie Heroique. Che mette un bel cast (Emmanuel Elmosnino, "Cesar" come miglior attore, uno dei tre toccati al film, è l'artista, Laetitia Casta fa, molto bene, BB, la modella Lucy Gordon, scelta fra 500 aspiranti e suicida poco dopo la fine delle riprese, è Jane Birkin, Sfarr fa Brassens) al servizio di un blues dall'infanzia alla morte fra animazione e cinema. Ma quelli che più d'ogni altro l'avrebbero fatto felice sono i lavori di chi ha capito fino in fondo le intuizioni di musico piene di ingegno e sentimento. Troppe ad esempio le affinità fra il suo mondo e quello maudit di Nick Cave: non è un caso che il primo della lista sia il Bad Seed Mick Harvey che già nel '95, con Intoxicated Man, dal titolo di un classico del '61, ripesca con l'amico Cave e la sua gente 16 perle del francese; altrettante ce ne sono in Pink Elephants, 1997. Tralasciando gli opportunisti pronti a soccorrere il vincitore anche da morto e alcuni omaggi invece genuini ma episodici di chi l'ha davvero amato (Steve Wynn, Okkervil River, Beirut, Baustelle, De La Soul, Folk Implosion), il '97 è l'anno dello zenith a cura di sua maestà John Zorn. Che gli dedica un intero volume della sua enciclopedica collana Great Jewish Music: 16 brani in cui coinvolge, fra tanti, Ribot, Fred Frith, Wayne Horvitz, Mike Patton, Ikue Mori, Medeski Martin & Wood, Cibo Matto, Blonde Redhead. Del 2006 l'ultimo, per ora, avvistamento: Monsieur Gainsbourg Revisited, antologia collettiva con interpreti della stazza di Michael Stipe, Marianne Faithful, Franz Ferdinand, Tricky, Placebo, Portishead, i vecchi amici Sly & Robbie.