Economia

La Francia pronta a dire no al Ttip: Stati Uniti all'angolo

Il presidente francese Francois Hollande attacca gli Usa: "Non siamo per un libero scambio senza regole. Mai accetteremo la messa in discussione dei principi essenziali per la nostra agricoltura, la nostra cultura, per la reciprocità all'accesso dei mercati pubblici". Futuro in salita per il trattato transatlantico di libero scambio

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MILANO - L'accordo è cattivo. E la Francia dirà "no". Il presidente francese, Francois Hollande, coglie la palla al balzo: sfrutta i leaks pubblicati da Greenpeace e sbatte la porta in faccia agli americani. Una mossa più politica che economica che serve all'Eliseo per far dimenticare agli elettori francesi la riforma del Lavoro: nonostante le proteste di Piazza, il Jobs Act transalpino prosegue il suo iter parlamentare. Insomma davanti alla scelta del totem da lanciare dalla torre Hollande non sembra avere dubbi: "Allo stato attuale" delle negoziazioni la "Francia dice no" al Ttip, il trattato transatlantico di libero scambi tra Ue e Usa, perché "non siamo per un libero scambio senza regole. Mai accetteremo la messa in discussione dei principi essenziali per la nostra agricoltura, la nostra cultura, per la reciprocità all'accesso dei mercati pubblici", ha dichiarato il capo dello stato chiudendo le celebrazioni dell'ottantesimo anniversario del Front populaire.

Una presa di posizione che ricalca quella italiana, ma anche quella della Commissione europea. D'altra parte i documenti pubblicati da Greenpaece non svelano nulla di nuovo, semplicemente mettono in mostra la realtà dei negoziati: Stati Uniti ed Europa sono ancora troppo lontani per raggiungere un'intesa che non livelli verso il basso le tutele e i diritti dei cittadini. Gli americani chiedono piene liberalizzazioni inconciliabili con la cultura e la natura europea e per questo le trattative proseguono al rilento. Insomma, la dura presa di posizione di Hollande arriva in un momento policamente delicato per il presidente a caccia di una rielezione da dodici mesi, ma dal punto di vista fattuale non cambia lo stato delle cose dei negoziati.

Il Ttip, infatti, ancora non esiste. Gli sherpa di Washington e Bruxelles continuano a scambiarsi offerte e proposte, ma non c'è alcun testo consolidato. Difficile anche poter arrivare a una bozza entro l'estate. Qualora poi le parti giungessero a un accordo, oltre al via libera del Consiglio dei ministri europeo servirà il voto favorevole del Parlamento - e gli eurodeputati promettono battaglia da mesi. Una volta ratificato il trattato a livello europeo, poi, la parola finale spetterà ai 28 Parlamenti nazionali degli Stati membri: la bocciatura di uno solo dei legislatori nazionali basterebbe a mettere la parola fine al Trattato. E oggi - con il montare di nazionalismi, dalla Polonia all'Ungheria, fino all'Austria - nessuno scommette sulla riuscita del Ttip.

Anche perché se sulle tariffe è stato raggiunto un accordo per la liberalizzazione del 97% dei prodotti, il problema vero riguarda gli appalti pubblici e l'agricoltura. Gli americani - in un'ottica di piena reciprocità - non hanno problemi a riconoscere il libero accesso alle loro gare, ma non hanno intenzione di derogare alla legge "buy american": in sostanza chiunque può aggiudicarsi un appalto, ma il 50% dei prodotti utilizzati per i lavori deve essere americano. Come a dire che un'impresa europea per costruire un autostrada americana dovrebbe utilizzare solo cemento a stelle e strisce.

Una condizioni inaccettabile per Bruxelles perché discrimina i prodotti europei, non crea lavoro nel Vecchio continente e non alimenta il Pil. Utile, quindi, solo per le multinazionali, ma in contrasto con gli obiettivi dichiarati dal Ttip che punta a una crescita dell'economia - a regime - nell'ordine di 120 miliardi di euro con l'aumento dell'occupazione. Dal punto di vista politico è proprio questa la difficoltà maggiore: quante concessioni è disposta a fare la Ue sul fronte dell'agricoltura e della tutela dei nomi in cambio dell'accesso ai mercati? Se gli Usa hanno un atteggiamento offensivo sul fronte alimentare, su quello degli appalti pubblici giocano con il "catenaccio". Ma senza una tutela delle denominazioni Igp e Doc, i prodotti europei che competono sulla qualità anziché sui prezzi ne uscirebbero ancora più danneggiati.
E questo, per la Francia, ma anche per l'Italia, è inaccettabile.