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Piazza Armerina, Calcagno racconta la prigionia e la fuga: "Un chiodo ci ha ridato la libertà"

Filippo Calcagno (ansa)
I due ostaggi sono riusciti a fare un varco nella porta di legno
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“Un chiodo, è stato un chiodo che ci ha dato la libertà; è stato con quello che siamo riusciti ad aprire la porta della nostra prigione ridandoci la vita”. Filippo Calcagno racconta tra lacrime e dolore il momento in cui, insieme al collega Gino Policardo è riuscito ad “evadere” dalla sua cella di Sabrata in Libia dov’era era stato rapito assieme agli altri suoi colleghi nel luglio scorso. "Ho lavorato molto su quella porta. Ho capito che con un chiodo si possono fare tante cose. Ho lavorato sulla serratura, o meglio sulla parte dove la serratura si va ad incastrare nella porta. Era un legno duro però pian pianino, con la caparbietà, ho indebolito la parte. Poi ho chiamato Gino, perché mi facevano male le dita da giorni e gli ho detto: “Dai Gino vieni, se dai due colpi siamo fuori". "Il giorno prima –continua Filippo Calcagno- avevamo provato e gli avevo detto 'Gino, mi dispiace, non riusciamo a farlo'...invece poi la porta si è  aperta ma avevamo un altro dubbio: quello di trovare chiusa dall'esterno la porta che dava fuori, invece era aperta e fuori non c'era più nessuno".
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Poi il ricordo di Filippo Calcagno va a Salvatore Failla, il collega trovato morto assieme a Piano e con il quale aveva condivisiso quei terribili otto mesi di prigionia. “Pensavamo di vivere un incubo. Non ti rendi conto di quello che sta succedendo. Poi pian pianino abbiamo cercato di tenerci tutti con la mente chiara, ricordando i giorni, cercando di non sbagliare data. E ci siamo riusciti, tranne che per il 29 febbraio: non ricordavamo l'anno bisestile”. "Abbiamo parlato di tutte le nostre cose, di tutto - ha aggiunto - di cosa fare quando saremmo tornati perché ci credevamo nel nostro ritorno, specialmente negli ultimi tempi Salvatore Failla aveva fiducia ... Diceva  sempre 'dai, tranquilli. Ce la facciamo'".
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Vivido il ricordo della prigionia: "C'erano delle donne e un bambino. Una famiglia di delinquenti, di criminali. E quando siamo usciti fuori dalla nostra prigione abbiamo tentato di camuffarci perché avevamo paura che ci fosse qualche altro gruppo fuori e ci prendesse. Siamo andati sulla strada con l'intenzione di chiedere aiuto, però cercavamo la polizia perché era l'unica che potesse darci aiuto. E fortunatamente il buon Dio ci ha messo sulla strada giusta. Abbiamo trovato i poliziotti e poi da lì eé stato tutto un crescendo. Io dopo circa un'ora sono tornato indietro con loro per riconoscere la casa".

La settimana prima del rapimento in Libia Calcagno aveva accompagnato all'altare, a Piazza Armerina, il figlio. "Adesso paghero' il viaggio di nozze a Gianluca. Perche' gliel'ho rovinato. Glielo devo”. Il giovane era infatti in viaggio di nozze negli Stati Uniti quando fu raggiunto dalla notizia che il padre era stato sequestrato. Ed era subito rientrato in Italia per stare accanto alla madre ed ai suoi fratelli, per otto lunghi mesi. Fino a venerdì, quando  Filippo Calcagno ha riacquistato la libertà.