Palermo

Il barcone dei sopravvissuti al naufragio del 9 febbraio 

I nuovi signori della tratta: “Siamo dei business man”. Accusati del naufragio di 300 migranti

Blitz della polizia in collaborazione con la capitaneria di porto: tre arresti per la tragedia avvenuta a febbraio al largo della Libia. I vertici dell’organizzazione dei trafficanti si nascondono a Tripoli. I racconti dei sopravvissuti: “Travolti dal freddo e dalle onde”

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"Se Dio lo vuole, tutto andrà bene", ripetono al telefono. "Ma nessuno sale sui gommoni se non abbiamo i nostri dinari". Gli organizzatori degli ultimi viaggi della speranza, dalla Libia verso le coste della Sicilia, sono originari del Mali, vivono a Tripoli. E si vantano: "Noi siamo dei business man". Perché ogni viaggio è un affare che vale tanti zeri: 2400 dollari a migrante. Il viaggio del 9 febbraio scorso si è trasformato presto in tragedia: a 70 miglia a nord della Libia, quattro gommoni sono stati travolti dalle onde, 300 migranti sono morti, solo 29 cadaveri sono stati recuperati. Ora le indagini della polizia, in collaborazione con la capitaneria di porto, hanno consentito di risalire ai responsabili di quella tragedia. Tre persone sono state fermate dagli investigatori del servizio centrale operativo e delle squadre mobili di Palermo ed Agrigento. Una quarta persona è latitante. Altri dieci indagati restano ben protetti in Libia. E fra loro ci sono le tre figure principali dell'organizzazione di trafficanti di uomini che ha operato negli ultimi mesi nel Canale di Sicilia: le indagini coordinate dal procuratore aggiunto di Palermo Maurizio Scalia e dai sostituti Geri Ferrara, Alessia Sinatra e Claudio Camilleri sono partite dall'analisi dei numeri trovati dentro un telefonino satellitare rimasto su un gommone e sono arrivate alla rete dei trafficanti.

C'è il "capo", così lo chiamavano. E poi il procacciatore di migranti, quindi il cassiere. L'organizzazione aveva una base operativa in Sicilia, che si occupava del trasferimento dei migranti al nord Italia o in Europa. Un altro business criminale, che è stato descritto da alcuni degli 85 superstiti del naufragio del febbraio scorso.

IL RACCONTO DEI SUPERSTITI
"Per due settimane siamo stati rinchiusi in una casa di campagna in attesa dell'imbarco", ha raccontato uno dei sopravvissuti. "Stavamo in una casa vigilata da uomini armati, ci tenevano come prigionieri, non potevamo neanche discutere a voce alta perché subito arrivavano i guardiani a minacciarci con le armi". Un altro migrante non voleva salire sull'imbarcazione: "Mi faceva paura quella barca in legno, sono stato picchiato e minacciato con una pistola". Testimonianze coraggiose, che adesso incastrano i trafficanti di uomini. "Mentre eravamo in balia delle onde  -  ha messo a verbale un altro sopravvissuto - abbiamo visto in lontananza una nave che non si è fermata a soccorrerci. Pensavo che sarei morto. Ricordo di essere quasi svenuto e di essermi svegliato mentre arrivavano i soccorsi. Il mio amico, che era seduto poco distante da me, era giù morto. In quel momento pioveva, il mare era agitato e soffiava un forte vento freddo". Un altro migrante ha raccontato: "Durante la navigazione ho visto morire di freddo molti miei compagni, ci avevano dato delle coperte di plastica per ripararci, a turno si poteva entrare nell'unica cabina dell'imbarcazione, entravamo cinque alla volta, non c'era spazio per tutti".

LE INTERCETTAZIONI
Dopo i racconti dei sopravvissuti, sono arrivate le parole dei trafficanti, che non sospettavano di essere intercettati. "Digli che per il viaggio sono 500 dinari", erano le disposizioni del procacciatore. Il migrante cercava di ottenere uno sconto. E il procacciatore faceva sapere: "Questo è l'ultimo prezzo, se loro hanno i soldi, io ti posso fare partire anche dopodomani".

Nelle intercettazioni sono finite pure le drammatiche parole di uno dei complici dell'organizzazione, arrestato in Italia, che nella traversata del febbraio scorso ha perso un fratello. "Io ho parlato con il libico  -  spiegava a un amico - gli ho chiesto quanto devo pagare per i miei fratelli? Mi ha detto milleduecento dollari, gli ho chiesto una barca sicura e lui mi ha detto: stai tranquillo, ci conosciamo da tanto, organizziamo le cose assieme, è un gommone organizzato bene fidati di me, stai tranquillo". Ma poi è arrivata la tragedia. Un altro fratello del trafficante si è salvato per puro caso, era su un altro barcone salpato quella sera di febbraio, ma fu fermato dalla polizia libica.
 
Le indagini proseguono. Dice il capo della squadra mobile di Palermo Rodolfo Ruperti: "C'è grande attenzione investigativa su questo versante, per smantellare la rete di complicità dei trafficanti che si estende anche sul territorio nazionale".