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(reuters)

Iran, Obama sulle orme di Kennedy per difendere l'accordo sul nucleare. "L'alternativa è la guerra"

Il presidente all'American University di Washington, dove nel 1963 Jfk spiegò agli americani perché fosse giusto raggiungere un'intesa con l'Urss per mettere al bando i test nucleari. "Fu criticato, ma cambiò la storia". Netanyahu contesta: "Dire che l'alternativa è la guerra delegittima le nostre preoccupazioni. Israele vuole la pace". Il leader della maggioranza repubblicana al Congresso: "E' falso. E Obama lo sa"

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WASHINGTON - E' nella Storia, quella con la "s" maiuscola, che Barack Obama cerca l'alleato con cui dare la spallata decisiva ai dubbi dell'opinione pubblica americana sulla bontà, la giustezza, le conseguenze di quel tanto contestato accordo sul programma nucleare iraniano raggiunto con gli emissari di Teheran. Presentandosi alla American University di Washington con un discorso per il quale la stessa Casa Bianca incoraggia a parallelismi da brivido pur di mettere in scacco un Congresso recalcitrante rispetto a quel trattato, inviso ai repubblicani ma anche a molti democratici.

In quell'ateneo, nel giugno del 1963, John Kennedy spiegò agli americani perché fosse giusto puntare a una diplomazia "pragmatica e razionale" per raggiungere con l'Unione Sovietica un accordo finalizzato alla messa al bando dei test nucleari. Otto mesi prima, durante i terribili 13 giorni della crisi delle testate sovietiche destinate a Cuba, Kennedy e Krusciov avevano visto l'abisso fermandosi in tempo, a un passo da un conflitto nucleare senza ritorno per il mondo intero. La linea di continuità tra Kennedy e Obama è alimentata anche da un altro emblematico avvenimento: fu proprio all'American University di Washington che il senatore Ted Kennedy fece il suo endorsement a favore del "candidato" Obama nella corsa alla Casa Bianca del 2008.

FOCUS - L'ACCORDO SUL NUCLEARE

Tornato all'American University da presidente, Obama si richiama a quel discorso di Kennedy e alla lunga tradizione che ne seguì di trattative diplomatiche anche con Paesi non amici. "Quello con l'Iran è un ottimo accordo. Non risolve tutti i nostri problemi ma aumenta la nostra sicurezza nazionale - esordisce il presidente rivolto agli americani -. Anche Kennedy fu criticato per le sue posizioni sul nucleare, ma la sua visione ha cambiato la storia, ha evitato una catastrofe globale. La guerra fredda è finita senza sparare neppure un proiettile contro i sovietici. Kennedy invitò l'America a non guardare alle guerre come inevitabili, insegnò che perseguire la pace non è così difficile rispetto al perseguire la guerra. Mi richiamo alla Storia - dice Obama - perché mai come adesso abbiamo bisogno di una visione nitida nella nostra politica estera".

La visione chiara che oggi l'America ha su quanto accade realmente nel 2002, quando gli Usa guidarono la nuova invasione dell'Iraq dopo l'11 Settembre, a caccia di inesistenti armi di distruzione di massa. Nel 2002, Obama fu tra quanti si opposero all'intervento. Sposarono invece la campagna militare il suo attuale vicepresidente, Joe Biden, il suo Segretario di Stato, John Kerry, e anche Hillary Clinton, ex Segretario di Stato oggi candidata di punta dei democratici nella prossima corsa alla Casa Bianca. Loro oggi hanno raggiunto quella "visione chiara" e ammettono che fu un errore. Ma Obama ricorda i tanti politici che all'epoca si schierarono a favore dell'invasione dell'Iraq e oggi si oppongono all'accordo con Teheran. "Le stesse persone che appoggiarono quella guerra si oppongono alla soluzione diplomatica con l'Iran. Gli esponenti radicali iraniani che urlano 'morte all'America' sono coloro che in Iran non vogliono l'accordo, per cui hanno una causa in comune con i repubblicani. Sprecare questa opportunità sarebbe un errore enorme" ribadisce Obama.

Il presidente americano parla del voto che il mese prossimo il Congresso Usa a maggioranza repubblicana dovrà esprimere sul trattato con l'Iran. "Mettete da parte l'appartenenza politica - esorta Obama -. Se il Congresso uccide il trattato, non solo indicherà al regime di Teheran il cammino che lo porterà ad avere la bomba atomica, ma addirittura lo accelererà. Le sanzioni non potevano da sole portare allo smantellamento del programma nucleare iraniano. Ma non era possibile ottenere un accordo un migliore e tutte le nazioni del mondo, con l'unica eccezione di Israele, si sono pubblicamente espresse in suo favore. Perché l'unica alternativa sarebbe l'intervento militare. La guerra. Forse non domani, non tra tre mesi. Ma presto. E la prospettiva della guerra avrebbe l'unico effetto di sospingere ancor di più nella segretezza gli obiettivi del nucleare iraniano". Inoltre, rimarca Obama, se il Congresso dovesse affossare l'accordo sul nucleare iraniano, "perderemmo qualcosa di prezioso: la credibilità dell'America come leader delle relazioni diplomatiche. La credibilità dell'America come ancora del sistema internazionale".

A questo punto, Obama parla dell'"unico Stato che si oppone al trattato". "Non possiamo abbandonare l'accordo sul nucleare iraniano solo perché comportebbe frizioni con Israele - premette il presidente Usa -. Certo, nessuno può colpevolizzare Israele per il suo scetticismo riguardo ogni accordo che coinvolga l'Iran ed è giusto che Israele tenga alta l'attenzione. Come è giusto che Israele insista nel dire che la sua sicurezza non può dipendere da altri Paesi, inclusi gli Stati Uniti. Ma noi abbiamo espresso chiaramente al governo di Tel Aviv la nostra volontà di discutere insieme le modalità per venire incontro al suo bisogno di sicurezza. E di certo è più pericoloso (per Israele, ndr) un Iran dotato di armi nucleari che un Iran alleggerito delle sanzioni internazionali". Quanto al regime di Teheran, "se proverà a barare, gli Stati Uniti potranno perseguirlo e lo faranno" assicura Obama, perché il trattato prevede "un'ampia capacità di risposta" alle eventuali violazioni.
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Il discorso di Obama alla American University di Washington rappresenta probabilmente il picco del suo personale coinvolgimento in quella intensa campagna in corso negli Usa tra favorevoli e contrari all'accordo sul nucleare iraniano, in vista del voto del Congresso. Dove alla scontata opposizione dei repubblicani si sommano i dubbi di tanti democratici. Obama ha minacciato il Congresso di porre il veto presidenziale e conta sul fatto che i suoi oppositori non avrebbero i numeri sufficienti per raggiungere la maggioranza qualificata necessaria per aggirarlo. 
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Nella sua strategia di persuasione, la Casa Bianca è riuscita di recente a ottenere il consenso di alcuni senatori democratici di particolare peso, come Tim Kaine della Virginia, Barbara Boxer della California e Bill Nelson della Florida. Obama sta lavorando per convincere altri indecisi nel suo partito, primo fra tutti il senatore di New York Charles Schumer. Ma continua a non trovare la fondamentale sponda in tre membri della Camera dei Rappresentanti esponenti della comunità ebraica americana: Steve Israel e Nita Lowey, entrambi dello Stato di New York, e Ted Deutch della Florida.

Obama ha prospettato la guerra come unica alternativa al trattato per impedire a Teheran di arrivare alla bomba atomica anche ieri, durante un meeting privato con i leader degli ebrei americani. Argomento contestato dal fronte degli oppositori. Per il primo ministro israeliano, Benjiamin Netanyahu, far passare Israele come fautrice della guerra vuol dire "delegittimare le nostre preoccupazioni". "E' assolutamente falso" ha dichiarato Netanyahu in webcast davanti a una platea di 10mila ebrei americani, perché "Israele vuole la pace". Posizione sposata dal leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, che anticipando il discorso di Obama ha manifestato l'auspicio che il presidente evitasse "di presentare il trattato con la stanca e ovviamente falsa unica opzione tra un cattivo accordo e la guerra. Perché le cose non stanno così. E Obama lo sa".

Seppur da altra prospettiva, al coro dei critici del presidente americano si è unito il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov puntando il dito contro un impegno che Obama assunse in relazione alla buona riuscita del negoziato sul nucleare iraniano: la rinuncia allo scudo antimissile americano in Europa. "Nel 2009 - ha affermato Lavrov parlando con Channel News Asia - il presidente Usa disse pubblicamente che risolta la questione iraniana, non sarebbe stata più necessaria una difesa missilistica in Europa. Non diceva la verità".