Spettacoli

CINEMA

"Bring The Sun Home", la magnifica impresa
"Portiamo il Sole a casa degli ultimi"

I registi Chiara Andrich e Giovanni Pellegrini ci parlano della loro opera prima che arriva fuori concorso al Festival del film di Locarno. È la storia di quaranta donne analfabete del Sud del Mondo che imparano a sfruttare l'energia solare, materializzando i sogni dei rispettivi conterranei

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SONO partiti dall'India, hanno scoperto l'America e ora puntano verso la Svizzera, direzione Festival del film di Locarno. Sono Chiara Andrich e Giovanni Pellegrini, trentenni veneti ammalati di cinema, che il 16 agosto presentano fuori concorso il documentario Bring the sun home, prodotto da Enel Green Power, che è la certificazione filmata di un ideale: per capovolgere la Terra basta partire dal Sole. E bisogna farlo a piedi nudi.

Appena diplomati al Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo, Chiara e Giovanni hanno vinto nel 2012 il Festival "SoleLuna - un ponte fra le culture", ottenendo l'opportunità di partecipare, tra il Rajasthan e il Perù, alla realizzazione di un progetto internazionale, ecologista e politicamente corretto. Ne è nato un documentario poliglotta, diario di viaggio della rivoluzione dell'indiano Bunker Roy, che negli anni 70 ha fondato il Barefoot College ("Università a piedi nudi") consentendo a tre milioni di poveri di imparare un mestiere. Protagoniste del film sono quaranta donne analfabete provenienti dal Sud del Mondo che apprendono a sfruttare l'energia solare, democratica e pulita.
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"È stata una produzione avventurosa", spiegano i registi, "e davvero low budget: abbiamo curato tutto noi due, dal progetto alla post produzione, aiutati solo da due fonici locali e da Lucia Gotti Venturato, fondatrice dell'associazione Sole Luna. Abbiamo vissuto con le donne che iniziavano a frequentare il corso in India e poi raggiunto quelle che lo hanno fatto l'anno precedente, che ora installano pannelli solari nel loro Paese".

Sessant'anni in due e il vostro primo lavoro va al 66° Festival del Film di Locarno: come ci si sente?
"Per noi è importantissimo partecipare, è stata una sorpresa. La conclusione ideale di un percorso iniziato proprio un anno fa".

Raccontate realtà antipodiche eppure vicine. Di quale riscatto vi sentite testimoni?
"A Tilonia abbiamo trovato una comunità completamente sostenibile, dove tutti lavorano e tutto ciò che viene prodotto viene reinvestito internamente. Nel villaggio i Paria hanno un riscatto sociale: nella rigida mentalità indiana questa possibilità è un miracolo".

I vostri ingegneri analfabeti sono una comunità cosmopolita e femminile: il cambiamento sociale parte dalle donne?
"Sì, per una ragione sociale: un uomo una volta imparato un mestiere lascia il villaggio e va a lavorare in città; una donna non lo fa mai, perché avverte la responsabilità della famiglia. Quello che si insegna a loro rimane a vantaggio di tutta la comunità, un capitale che si tramanda. Per lo stesso motivo sono donne adulte: una giovane madre non lascia i figli piccoli per sei mesi, una nonna può".

Con quali difficoltà?
"Per loro è complicato perché spesso non sono mai uscite dai villaggi e sperimentano un mondo sconosciuto: la maggior parte di loro non ha mai sentito quei climi, mai visto quei colori. Poi c'è il problema della lingua: non capiscono le compagne né gli insegnanti. Durante la prima parte del corso infatti ripetono in una cantilena i nomi dei componenti del pannello, poi possono apprendere materialmente a fare le cose. Quelle che tornano a casa dopo sei mesi non sono le stesse donne che erano partite, sono persone diverse".
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Cosa le aspetta una volta tornate?
"Il mondo intorno a loro è lo stesso, sono loro che sono cambiate. Possono cambiare il loro mondo, consentendo con l'elettricità a basso costo di migliorare la vita del villaggio: i bambini possono fare i compiti e gli adulti lavorare, guadagnano tutti. La casalinga torna con una maggiore consapevolezza, con un ruolo diverso nella società e più autorità. Il valore è il cambiamento, non il progetto in sé: imparando una lingua e un lavoro queste persone si liberano dalle catene della casta sociale e del ruolo femminile".

E in voi cosa è cambiato?
"Per noi è stato un tuffo nelle culture più diverse, mentalità a confronto: abbiamo visto le donne irachene, con una percezione di se stesse condizionata dalla chiusura della loro cultura di provenienza, convivere con le donne latine e quelle delle isole del Pacifico, così libere e così somiglianti ai ritratti di Gaugin, e con le guatemalteche eredi dei Maya, le Ixil, che non conoscono neanche lo spagnolo. Ci siamo ritrovati a fare da mediatori culturali tra le diverse lingue, ad aiutarle come potevamo. Siamo cambiati quanto loro".